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Chris Cornell: sopravvissuto a tutto, ma non a se stesso

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Su suggerimento di @NedCuttle21(Ulm).

Su Rolling Stone, l’omaggio di Michele Primi all’icona del grunge Chris Cornell, a un anno dalla sua scomparsa.

[…] «Il rock & roll per me è sempre stata la voce della gente comune, degli outsider, di quelli che non comandano» diceva Chris Cornell. È cresciuto in una famiglia bianca e cattolica, ultimo di molti fratelli, in un quartiere della periferia di Seattle: «In cui tutti avevano fatto un sacco di figli. C’erano un sacco di ragazzi, piccoli e grandi, quindi c’era anche un sacco di droga». Per Chris, che inizia suonando la batteria prima di scoprire la voce, il rock è una ragione di vita, per tutti gli altri la presenza scenica e la grandezza dei Soundgarden diventano un motivo per credere nel rock alla fine degli anni ‘80. Kurt Cobain ha sempre detto che i Soundgarden sono l’unica ragione per cui i Nirvana hanno scelto di registrare per la Sub Pop. Quando il music business ha cominciato a scavare nei club di Seattle in cerca dell’oro («È come se qualcuno fosse arrivato sulla tua montagna perfetta e avesse iniziato a distruggerla portandosi via tutto e lasciando lì a marcire quello che non gli interessa» diceva nel 1994 a proposito dell’implosione della scena grunge) lui è riuscito ad andare avanti, anche se ha perso degli amici come Andrew Wood, Kristen Pfaff delle Hole, lo stesso Kurt. In pezzi come The Day I Tried to Live dall’album Superunknown che vende 3 milioni di copie, ha gridato in faccia al mondo le sue fobie e le sue dipendenze giovanili.

 

Immagine da Wikimedia Commons.


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