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Supermercati, il grande inganno del sotto costo.

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A cura di RNiK.

 

In un lungo articolo su Internazionale, Fabio Ciconte e Stefano Liberti provano ad illustrare diversi aspetti negativi che si nascondono dietro il concetto di “sotto-costo”.

Per i fornitori, soprattutto quelli piccoli e locali, le politiche della GDO si concretizzano in drastici tagli di guadagno:

Attraverso un questionario inviato a 471 imprese agro-alimentari, l’autorità per la concorrenza fa una vera e propria radiografia dei rapporti tra grande distribuzione e fornitori. E sancisce che l’incidenza di sconti e contributi è pari al 24,2 per cento del fatturato delle singole aziende fornitrici nei confronti della catena cliente. Il che vuol dire che questi abbattono di un quarto il prezzo effettivo di listino.

Anche i lavoratori non se la passano troppo bene:

Se i buyer si rifanno sui fornitori, che con una mano concedono i contributi e con l’altra aumentano i listini (quando hanno abbastanza potere contrattuale), i manager si rifanno invece sui dipendenti, con una crescente contrazione delle condizioni di lavoro, che passa attraverso contratti sempre più precari e meno garantiti.

Brutte notizie anche per noi, contribuenti e consumatori. Queste pratiche commerciali non solo fagocitano risorse della Commissione Europea, ma sul lungo periodo ci daranno prodotti di qualità sempre più bassa offerti da fornitori sempre più scadenti.

Secondo uno studio condotto dalla società di consulenza londinese Europe Economics , quelle “tangenti più o meno occulte” denunciate da Asnaghi ammontano al livello europeo a una cifra tra i 30 e i 40 miliardi di euro. Si tratta di una cifra colossale, pari a più della metà dei sussidi che la Commissione europea garantisce agli agricoltori comunitari attraverso la politica agricola comune (pac).

In un certo senso, il denaro pubblico alla fine non è utilizzato per innovare o migliore la qualità, ma per tenere in piedi un sistema economico iniquo, in cui il più grande mangia il più piccolo. Come conclude lo stesso studio, “le pratiche sleali nel commercio limitano la possibilità per i fornitori di reinvestire nelle loro imprese e creano un grado di incertezza (alcuni analisti la definiscono ‘paura’) che scoraggia impegni a lungo termine. Nel corso del tempo, questo ridurrà le possibilità di sopravvivenza di fornitori competenti e risulterà in una mancanza di innovazione e di miglioramento della qualità. Alla fine queste pratiche danneggiano il consumatore.

 

Immagine da Pixabay


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