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Primarie USA, tappa decisiva?

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A cura di @loveforty

Ci si avvicina a grandi falcate verso quello che potrà essere l’appuntamento decisivo delle primarie USA 2016, il secondo Super Tuesday dall’inizio della campagna. Martedì 15, infatti, si vota in cinque stati (e un territorio fuori dai confini statunitensi, le Isole Marianne Settentrionali): Florida, Illinois, Missouri, North Carolina e Ohio. Ci saremo con una tappa del totoprimare entro domani, ma intanto ecco qualche numero introduttivo per capire quanto sia importante questa tappa: nella corsa repubblicana si assegnano 367 delegati (ce ne vogliono 1237 per diventare il candidato alla Casa Bianca, fate voi i conti). Tra i democratici, i delegati in palio martedì saranno 792 (e sono 2383 quelli necessari a vincere le primarie). Insomma, c’è una bella fetta di torta in palio. A rendere le cose ancora più interessanti, nella metà repubblicana ci saranno le prime votazioni secondo la formula “Winner take all”: il candidato che prende anche solo un voto in più degli altri, si porta a casa tutti i delegati in palio in quello stato. E funzionerà così in Florida (99 delegati), Illinois (69), e Ohio (66)*. Sono previsti fuochi d’artificio.

Cosa è successo ultimamente

È difficile fare un riassunto, con così tanta carne al fuoco – e così tanto materiale umano a disposizione. Mettiamo ordine, magari non necessariamente in ordine cronologico.
Ci sono stati diversi dibattiti, sia da una parte che dall’altra: tra i democratici quello più importante è stato quello tenutosi a Flint (se il nome vi suona familiare, ecco perché
) che ha preceduto il voto in Michigan, dove Sanders ha vinto contro ogni pronostico (è stato anche il dibattito dove Hillary, tentando di interrompere Bernie, si è sentita zittire dal suo rivale con un piccato “Excuse me, I’m talking”). Qui, un’analisi sul come e perché sia nato un risultato così sorprendente e inaspettato e in Michigan – va comunque chiarito un dettaglio, più aritmetico che altro: pur avendo perso, Clinton ha guadagnato 70 delegati, contro i 67 vinti da Sanders. Magia delle regole delle primarie. E ce n’è stato un altro successivamente, a Miami, sempre all’insegna di un confronto vivo, ma mai volgare o verbalmente violento (e qui Hillary si è presa la rivincita: Sanders ha provato a interromperla, e lei ha abbozzato un seccatissimo “Excuse me. Excuse me”). Ad inizio del dibattito, tra le altre cose, è stato chiesto alla Clinton se si sarebbe ritirata dalla corsa alla Casa Bianca qualora fosse stata chiamata a processo per la storia delle mail private, quando era segretario di stato. Hillary ha risposto senza tanti giri di parole: “Oh, per carità, non succederà. Non risponderò neanche alla domanda”.

Tra i repubblicani, ce ne sono stati altrettanti, Ma diciamo che uno solo è stato quello degno di nota, ed è stato quello tenutosi in Florida il 10 marzo, in un clima inaspettatamente civile, complice anche l’incombere dell’appuntamento decisivo di martedì prossimo. L’altro, quello del sei marzo, è già nella storia (la lunghezza delle mani, le parti intime di Trump, “Little Marco” e “Big Donald”, eccetera).

Poi: Ben Carson si è ritirato dalla corsa, e questo già si sapeva. La novità è che l’ex neurochirurgo ha fatto avere il suo endorsement ufficiale a Donald Trump – e c’è già chi scongiura il caro vecchio Ben di non farlo, o potrebbe finire come Chris “l’uomo diventato meme” Christie.

(Provate a immaginare Carson e Christie in un angolo dell’inquadratura mentre Trump parla…)

Altra cosa degna di nota, sempre dalle parti dei repubblicani (ci siamo messi l’anima in pace, è qui che c’è più da raccontare): ci sono stati diversi episodi di violenza negli ultimi comizi di Donald Trump. In breve: un uomo è stato arrestato in North Carolina per aver aggredito un ragazzo di colore che protestava durante un comizio, una giornalista di Breitbart è stata spintonata in malo modo dal manager della campagna Trump mentre stava ponendo una domanda al candidato alla fine di una conferenza stampa in Florida e, notizia fresca di nottata, è stato annullato il comizio di Trump che si sarebbe dovuto svolgere a Chicago per motivi di ordine pubblico (migliaia di manifestanti si sono ritrovati, dentro e fuori un palazzetto dell’Università dell’Illinois, ne sono nate situazioni di tensione, spintoni, insulti, cinque persone sono state arrestate e due agenti di polizia sono rimasti lievemente feriti). Pur essendo episodi che, presi singolarmente, potrebbero non dire molto, il trend sta iniziando a diventare lineare, e la discussione che ne è scaturita non è di poco conto.

Martedì si sapranno i nomi in corsa a Novembre?

Se così non sarà, poco ci manca. Con la regola del “Winner take all” in quattro stati su cinque al voto, e con i sondaggi che lo danno in vantaggio su Rubio in Florida e molto vicino Kasich in Ohio (i due giocano rispettivamente in casa in questi due stati), solo una congiunzione astrale più unica che rara può ormai fermare Donald Trump. Dopo la nottataccia di martedì scorso, da più parti è arrivato l’invito a Marco Rubio di abbandonare la corsa, persino da Trump stesso, che non vede l’ora di andare ad uno-contro-uno con Ted Cruz – a questo punto, il più logico e accreditato rivale, anche se il calendario dei prossimi voti non gioca a suo favore; inoltre, si è già votato nella maggior parte degli stati del Sud dove avrebbe potuto avere un margine di vantaggio, ma sappiamo già come siano andate le cose finora.
Una vittoria di Trump in Florida (fun fact: un milione di voti, gli “early votes”, sono già stati depositati), o addirittura combinata a un trionfo in Ohio, vorrebbe dire fine dei giochi per chiunque (fun fact n.2: il team di Rubio sta disperatamente dicendo agli elettori dell’Ohio: “Votate Kasich!”).

L’opzione di una “brokered convention” (lo avevamo già accennato, ma qui Vox vi spiega brevemente in cosa consista; vi sfidiamo a non tifare per una possibilità così spettacolare e appetitosa) è forse l’unica vera alternativa a una vittoria del magnate newyorchese. Ma da più parti, dentro e fuori il partito repubblicano, arrivano pareri non molto entusiasti all’idea di un convention che, se il clima dei dibattiti televisivi e dei comizi ci suggerisce qualcosa, si preannuncerebbe come una lotta all’ultimo sangue, e non si sa quanto edificante.

Fronte democratico: pur in una serata gloriosa, con la vittoria in Michigan, Sanders ha visto il distacco da Clinton aumentare. E, statistiche alla mano, in nessun momento della campagna del 2008 Hillary ha mai avuto uno svantaggio così elevato in termini di delegati dal rivale di allora Obama; e al tempo la corsa si decise per un centinaio di delegati di differenza al netto dei superdelegati che, ormai lo abbiamo capito, alla fine preferiscono andare dove tira il vento, per evitare di rovesciare il voto popolare.
(Per intenderci: se Sanders dovesse clamorosamente recuperare e superare Clinton, anche l’orientamento dei superdelegati andrebbe di pari passo).
Detto questo, e con i sondaggi che parlano di un chiaro vantaggio di Clinton per il turno di martedì, le speranze di Bernie sono ormai ridotte all’osso; di certo, il voto del 15 ci dirà qualcosa di più sul “momentum” che la sua candidatura può aver acquisito sulla scia della vittoria in Michigan.

Se volete farvi un’idea di cosa ci aspetta nel prossimo turno del totoPrimarie, qui trovate i sondaggi dei vari stati, come al solito presi dai nostri due punti di riferimento in materia: Real Clear Politics e Nate Silver e i suoi scagnozzi di fivethirtyeight.com.

Per i nostalgici, Jeb Bush non twitta dal 21 febbraio, giorno in cui si è ritirato dalla corsa.

* Ok, ce ne sono anche 9 in palio nelle Isole Marianne Settentrionali con la formula “Winner take all”. Non ci siamo dimenticati di voi, mariannesi.

 

Immagine da pixabay, CC0


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