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☆ Rivoluzione e Stato Islamico

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Su suggerimento e a cura di @LoafingBunny

In un lungo articolo tradotto sull’internazionale n.1147 e riassunto in tre paragrafi qui, Scott Atran ci spiega perché lo Stato Islamico non è un movimento temporaneo nato dal caos, ma ha radici profonde nella mentalità islamica. Contestualizza inoltre le tecniche mediatiche con cui catturano l’attenzione mondiale, riportandole alla pratica antichissima di far insorgere paura nel nemico, confrontandole con sanguinari accadimenti del nostro passato, per capire il motivo per cui così tante persone istruite vanno a combattere per l’ISIL e perché il mondo occidentale non deve liquidarli come pazzi. (Spoiler: perché tutti i musulmani sono disgustati dalla violenza pacchiana dei militanti, eppure l’ISIL è l’unico che sta riuscendo nel realizzare uno stato islamico non imposto da potenze straniere, e questo li affascina tremendamente). L’ISIL riesce a sfruttare meglio di altri gruppi e dello stesso occidente la macchina mediatica che ci circonda, perciò riesce a richiamare combattenti esteri che sono molto più radicali e indifferenti al pericolo rispetto agli stessi combattenti siriani. Il gruppo di ricerca coordinato da Scott ha infatti ‘misurato’ il grado di fedeltà alla causa dei combattenti di daesh, e ha scoperto che sono tra i più devoti, incomparabilmente più fedeli e pronti a morire rispetto agli eserciti dell’Iraq o della Siria. Una simile fedeltà alla causa è stata riscontrata solo in un altro gruppo, nei curdi presenti nel nord ovest della Siria, e che riescono efficacemente a contenere l’espansionismo di daesh. Ma non sottovalutiamoli: i militanti dell’ISIL non combattono per i soldi o per le schiave. Combattono perché nel mondo occidentale si sentivano senza identità, slegati e diversi dai cittadini europei, e in Siria hanno trovato un senso tanto più profondo e cieco quanto superficiale e sciocca percepivano la loro vita precedente.

Immagine da flickr


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