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Applicare la Costituzione, partendo dall’Articolo 27

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A cura di @Broono

Il 24 novembre si è tenuto nel carcere di Regina Coeli il secondo incontro del convegno “Pena e speranza” promosso da Mario Marazziti, Presidente della Commissione Affari Sociali della Camera, con la partecipazione del Ministro della Giustizia Andrea Orlando; un confronto sulla situazione del sistema penitenziario italiano e sul tema della detenzione in senso ampio.

L’incontro ha evidenziato come Governo e Parlamento stiano operando da anni con scelte i cui effetti positivi iniziano a lasciare evidente traccia anche nei numeri rilevati dalle associazioni che da anni monitorano le carceri.

Sono i dati portati dallo stesso Deputato Marazzini, in un articolo che in maniera approfondita descrive anche un lavoro progettuale sul lungo termine, a raccontare una realtà tutt’ora indietro rispetto agli standard europei ma che inizia a mostrare lievi ma concreti segnali di miglioramento.

Se la semplice lettura dei numeri descrive un incremento dei detenuti, 54.072 a giugno 2016 rispetto ai 52.754 del giugno 2015, è entrando nelle dinamiche e nel dettaglio che si possono al contrario cogliere i segnali di un cambio di approccio.

E’ infatti nell’uso/abuso della custodia cautelare che si trova la prima chiave di lettura per dare a quell’incremento valore non completamente negativo, se si considera che dei 1.318 detenuti in più rispetto al 2015 sono 1.078 quelli in custodia cautelare.

Secondo Antigone, associazione che si occupa di monitorare la situazione carceraria e di redigere un rapporto annuale usato come fonte anche dalle istituzioni, sarebbe quindi sufficiente proseguire sulla strada delle misure alternative alla carcerazione avviata con la Legge 199-2010, che stabilì la possibilità di scontare l’ultimo anno ai domiciliari per i condannati a pene inferiori ai 3 anni e ulteriormente rafforzata da quanto contenuto nella Legge 10-2014 che ha reso obbligatorio ricorrervi quando in presenza di determinati elementi e ha aggiunto diverse novità riguardanti i diritti del condannato, per aprire le porte del carcere alle quasi ventimila persone che devono scontare pene o residui di pena inferiori ai 3 anni, il 56% degli attuali detenuti.

Ventimila persone che si unirebbero alle attuali 33mila per le quali la concessione di misure alternative si traduce in una recidiva del 30% contro il 70% dei detenuti carcerati, ipotesi ulteriormente supportata dalla percentuale di condannati che hanno commesso un reato nel periodo della misura alternativa al carcere: lo 0,79%.

Monitorare lo stato delle carceri e promuovere provvedimenti finalizzati a migliorare la realtà delle decine di migliaia di condannati italiani è oggi compito del “Garante dei Diritti delle persone detenute o private delle libertà personali”, una figura istituzionale introdotta dalla Legge 10-2014 e la cui successiva nomina è stata così fortemente voluta dal Ministro Orlando da portarlo a scegliere per quell’incarico Mario Palma, non un nome qualsiasi scelto in una rosa di politici ai quali assegnare incarichi-poltrona ma il fondatore di Antigone e cioè proprio l’associazione che da sempre collabora con il ministero e che quindi per competenza impegno e passione civile è considerabile la massima autorità competente in materia.

Una scelta che, messa insieme alle numerose altre iniziative che il Ministro ha fin dal suo primo giorno portato avanti sul tema carceri come l’istituzione degli “Stati Generali sull’esecuzione penale”, non un semplice convegno ma un anno intero di tavoli di lavoro per affrontare i problemi sotto ogni loro aspetto e con ogni autorità disponibile a collaborarare, porta a non poter che rendergli il merito di aver scelto come missione personale quello che mai come oggi è un tema con un tasso di capitalizzabilità elettorale a dir poco suicida.

A proposito di suicidi: dopo la sequenza di dati che alimentano le speranze di chi vorrebbe una nazione più civile è giusto ritornare nella realtà dietro le sbarre che continua purtroppo a essere una delle peggiori d’europa e nella quale per questo si suicida in media una persona a settimana, una realtà così infernale che ogni anno 10 di loro sono agenti di custodia.

A fare macabro sarcasmo verrebbe da dire meno male che ne abbiamo più di ogni altro paese, un agente ogni 1,5 detenuti, motivo per cui in stipendi del personale se ne va l’83% dei quasi 3 miliardi di euro di budget annuale destinato a pagare un sistema di assistenza composto per il 90% da guardie e solo il 10% da personale civile di supporto.

 

Immagine di Global Panorama via Flickr, CC BY-SA 2.0


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