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Afghanistan, il ritiro dell’Occidente e la resistenza dei civili contro l’avanzata dei talebani

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Valigia Blu riporta un articolo con delle considerazioni sul ritiro delle forze internazionali dall’Afghanistan, su cosa significa e su cosa si prospetta per la stabilità politica del Paese da quel momento in poi.

Dall’inizio della invasione americana sono gli afghani ad aver pagato il prezzo più alto con la morte di 47.245 civili, secondo i dati forniti dal Cost of War project della Brown University di Rhode Island. Sebbene il governo afghano non diffonda informazioni sul numero delle vittime tra i militari Costs of War stima che la guerra abbia ucciso dai 66.000 ai 69.000 soldati.

La guerra ha costretto 2,7 milioni di afghani a fuggire all’estero, principalmente in Iran, Pakistan e in Europa, in base a quanto dichiarato dalle Nazioni Unite, come riportato da Associated Press. Altri 4 milioni sono sfollati all’interno del paese che ha una popolazione totale di 36 milioni.

Nello stesso periodo sono 2.442 soldati statunitensi ad essere stati uccisi e 20.666 quelli feriti, secondo il Dipartimento della Difesa americano.

Nel conflitto hanno inoltre perso la vita 1.144 membri del personale della coalizione NATO di 40 nazioni presenti sul territorio.

In particolare, lo Stato afghano dovrà fare i conti con le forze talebane e una struttura da rafforzare.

Intanto in risposta alle forze talebane quelle governative afghane stanno provando a consolidare le proprie posizioni puntando sull’approvvigionamento di mezzi militari da parte degli americani che hanno garantito l’ammodernamento della flotta aerea.

Ad affiancare le truppe governative i civili delle milizie che hanno imbracciato le armi.

Omid Wahidi è nato dopo l’invasione degli Stati Uniti nel 2001. Ha vissuto per la maggior parte un’infanzia pacifica. La sua era una famiglia di coltivatori.

Oggi Wahidi va in giro con un Kalashnikov che probabilmente ha il doppio della sua età. Qualche settimana fa ha premuto il grilletto per la prima volta nel corso di alcuni scontri.

«Non immaginavo che avrei dovuto combattere», ha detto al New York Times.

Wahidi è uno delle centinaia di volontari che stanno combattendo a Mazar-i-Sharif, la quarta più grande città afghana situata quasi al confine con l’Uzbekistan. Lo fa, come tutti, per proteggere la propria case e, consapevolmente o meno, gli interessi commerciali dei signori della guerra e dei mediatori del potere.

Le milizie che si sono formate alla periferia di Mazar-i-Sharif e in altri luoghi nel nord del paese negli ultimi due mesi si sono disposte in una sorta di cintura difensiva, ad integrazione delle forze governative che non si sono ritirate o si sono arrese.

Foto via Pixabay pubblicata tramite licenza Pixabay.


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