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La lunga marcia della carriera universitaria

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Giovanni Belardelli sulla Rivista Il Mulino ripercorre quelle che sono state le modalità di accesso e progressione di carriera universitaria in Italia caratterizzate negli ultimi cinquant’anni

“da una selezione parallela attraverso sanatorie e «pertugi», come qualcuno li ha definiti, e il progressivo prevalere del localismo nelle scelte concernenti la docenza universitaria”

Esempi di “pertugi” sono, secondo Belardelli,

“Le varie forme attraverso le quali è stato di fatto aggirato il meccanismo del concorso pubblico, cito ad esempio il caso dei professori incaricati, nominati dal Consiglio di facoltà, che alla fine degli anni Sessanta vennero prorogati automaticamente e poi, con il Dpr 382/80, diventarono tutti professori associati attraverso un giudizio di idoneità a loro riservato.

[…]

Osservazioni analoghe si potrebbero fare sugli appartenenti a varie categorie di precariato – assegnisti, contrattisti, borsisti – anch’essi dapprima stabilizzati e poi entrati dopo un giudizio di idoneità (ovviamente positivo) nel nuovo ruolo, che la stessa norma aveva creato, di ricercatore universitario (anche in questo caso saturandolo, con oltre 12 mila ingressi sui 16 mila previsti)”.

D’altra parte il meccanismo dei concorso pubblici avrebbe, negli anni e nonostante il succedersi di riforme,  contribuito al mantenimento di forme di cooptazione e soprattutto di localismo

“Le regole introdotte da Berlinguer portarono al successo dei candidati locali, non sempre immeritevoli ma certe volte – diciamo la verità – sì. In questi casi, ricercatori con poche e modeste pubblicazioni riuscirono a procedere nella carriera, diventando magari ordinari, poi commissari essi stessi nei concorsi. La deriva localistica della carriera universitaria poté verificarsi per il combinato disposto delle nuove regole concorsuali e del procedere dell’autonomia finanziaria degli atenei.

[…]

ormai nelle nostre carriere universitarie il vitale scambio tra centro e periferia appare in larga misura interrotto”.

Neppure la Riforma Gelmini del 2010 avrebbe, secondo Belardelli, fermato la deriva localistica che è ormai diventata caratteristica strutturale del sistema universitario italiano

“Il concorso a livello del singolo ateneo, infatti, viene comunque espletato da una commissione composta secondo i desideri del Dipartimento che bandisce il posto. Così, anche per le già citate ragioni economiche che quasi impongono la scelta del candidato locale, è per solito quest’ultimo a risultare vincitore”


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