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“We’re going to our Father’s land”

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Cosa si prova ad essere Dio? L’imperatore d’Etiopia Hailé Selassié dovette farsi questa domanda, quando visitò la Giamaica nel 1966 e incontrò la comunità rastafariana.

Trentasei anni prima la sua incoronazione, seguita dai giornali di tutto il mondo, aveva stimolato le speranze di molti attivisti neri, e influenzato la nascita della comunità rastafariana (dal nome che egli aveva prima di salire al trono, ras Tafari Maconnen), che lo identificava come il Messia. A partire dalla seconda metà degli anni ’40 Hailé Selassié cominciò a donare dei terreni, nella cittadina di Sciasciamanna (oggi parte dello stato federale dell’Oromia), ai suoi sostenitori stranieri che volevano “tornare in Africa”, e stabilirsi nel suo paese. E fra di essi, parecchi furono i rastafariani, che intendevano così tornare nella loro patria spirituale, da cui sentivano di essere stati strappati attraverso la tratta degli schiavi.

Un articolo dei missionari della Consolata, e uno più recente di Face2Face Africa riassumono la storia della comunità rastafariana di Sciasciamanna, che è anche il tema di un documentario della RAI del 2015. La comunità rastafariana non ebbe una vita facile: nel 1974, Hailé Selassié fu rovesciato, e il nuovo regime comunista, che non aveva alcuna simpatia per questo gruppo di stranieri legato al vecchio governo, ne nazionalizzò le proprietà. Per anni i coloni di Sciasciamanna si trovarono in una situazione legale incerta, in quanto immigrati, formalmente irregolari, senza alcun titolo di proprietà sulla terra in cui vivevano: solo recentemente hanno avuto lo status di residenti permanenti. La loro integrazione nella società etiope rimane però difficile: un testimone del documentario (minuto 45) dice che

Insomma, qui c’è bisogno di noi Africani d’Occidente, che col nostro modo diverso di vedere le cose, possiamo aiutare a ricostruire l’Africa

mentre altre testimonianze parlano di un rapporto più complicato, con i nuovi venuti che non imparano la lingua del posto, e vengono discriminati e aggrediti dai nativi. Anche per questo, il loro numero è andato diminuendo negli anni. Per ora però, almeno, non sembrano essere stati colpiti dalla guerra recente.


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