La mucca è caduta ma non è morta

30 anni di spazi protetti per drogarsi, a Francoforte [DE]

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Un articolo della Frankfurter Allgemeine Zeitung per i trent’anni di presenza a Francoforte delle Drückräume (conosciute in Italia come “stanze del buco”), spazi protetti dove assumere droga sotto supervisione dei servizi sociali.

Francoforte negli anni ’80 aveva un enorme problema di eroina, che veniva assunta a cielo aperto in posti come il parco di Taunusanlage: nel 1991 147 persone morirono di overdose in città. In seguito si seguì un approccio diverso, che divenne noto come noto in Germania come “via francofortese” (Frankfurter Weg), basato sulla fornitura di assistenza ai tossicodipendenti, che vennero contestualmente rimossi dagli spazi pubblici. All’inizio si trattava di semplici consultori con letti d’emergenza e assistenza medica, ma in seguito si passò alla fornitura di metadone, e nel 1994, seguendo l’esempio della Svizzera, venne creato il primo spazio protetto, dove la procura dichiarò che non avrebbe perseguito il consumo di droga.

Gli effetti in termini di morti furono immediatamente visibili – in quello stesso anno, il loro numero calò a 61, mentre l’anno scorso ci furono 19 decessi, di cui nessuno in una stanza del buco. Contemporaneamente, però, anche il consumo di droga è cambiato, e il crack ha sostituito in buona parte l’eroina. Il crack è molto più semplice e veloce da assumere – bastano una pipa e un accendino – produce eccitazione invece che intontimento, e i tossicodipendenti hanno meno incentivi a fumarlo solo in strutture protette. Nello spazio pubblico si è quindi tornati, in una certa misura, a consumare droga.

Gli effetti della Frankfurter Weg sono oggetto di dibattito. I suoi sostenitori evidenziano la riduzione delle morti a cui ha portato, mentre i critici sottolineano che essa non abbia eliminato degrado e spaccio di stupefacenti. Nella stessa Germania, le politiche sulla droga cambiano molto da Stato a Stato: il governo bavarese, per esempio, non ha mai concesso l’apertura di stanze del buco, nonostante il suo alto numero di morti per overdose. Anche per questo i tossicodipendenti si spostano da una parte all’altra del paese, creando ulteriore pressione nei centri di assistenza. Chi sostiene la politica, comunque, precisa che questo è un modo per limitare i danni, più che risolvere il problema.

La questione della dipendenza non si risolve. Il ricercatore Werse afferma che i drogati vivono la dipendenza come l’alternativa migliore. La pensa così anche Alexander Reinhard, che nel suo lavoro a Eastide (il centro di assistenza, dove dirige la sezione di alloggio, NdMarmotta) osserva ogni giorno i dipendenti dagli oppioidi. Dice: “Loro vogliono che finisca il dolore. Per un paio d’ore non vogliono pensare a che vengono da una famiglia distrutta e che domani si risveglieranno in una camerata.” Anche altri assistenti sociali non si fanno illusioni: Wolfgang Barth (un altro assistente sociale, che lavora con i tossicodipendenti dagli anni ’80, NdM) per il suo lavoro non parla mai di successo. “Una volta facevo sport, e mi rendeva felice quando in una maratona raggiungevo il traguardo, ma nella droga non c’è nulla di simile.” Il suo lavoro non si misura, per esempio, sulla base di quanta gente sia uscita dalla dipendenza. Quando uno di loro lo saluta e lo ringrazia per un colloquio, è già tanto.


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