Il sito del Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Firenze racconta come le celebrazioni per il centenario della morte di Odoardo Beccari (1843-1920), in ritardo per ragioni dovute all’emergenza sanitaria, siano state lo spunto per avviare uno studio approfondito delle collezioni del naturalista fiorentino.
Presso le collezioni botaniche conservate in via La Pira, tra le maggiori esistenti al mondo, è custodito uno dei più importanti lasciti di Odoardo Beccari: oltre 16 mila reperti, raccolti durante i suoi viaggi in Asia e Oceania, che costituiscono il cosiddetto “Erbario della Malesia”. Questa raccolta, insieme alle collezioni “ancillari” collegate (legni, frutti, semi, prodotti vegetali di interesse etnobotanico) rappresenta una testimonianza preziosa della diversità vegetale originaria di territori oggi profondamente alterati dall’azione umana. In aggiunta, si trovano tra i vari pacchi decine di campioni “tipo”, cioè di saggi originali che furono utilizzati per la descrizione di specie nuove per la scienza e che, come tali, sono tutt’ora di riferimento per gli studiosi di quelle flore.
Il sito del Sistema Museale di Ateneo pubblica anche una bella scheda biografica corredata da alcune interessanti fotografie che tratteggia la vita e le opere di questo botanico italiano, che in età giovanissima iniziò a raccogliere piante. Fresco di laurea nell’ateneo bolognese, Beccari è stato il protagonista di una prima esplorazione nel sud-est asiatico e in seguito di varie spedizioni naturalistiche tra il 1865 e il 1878.
A Bologna conosce anche il marchese Giacomo Doria, naturalista e futuro fondatore del Museo Civico di Storia Naturale di Genova, con il quale decide, appena laureato, di compiere l’esplorazione del lontano Ragiato di Sarawak, in Borneo. Una volta terminati gli accurati preparativi della spedizione, compreso anche un soggiorno negli Erbari di Kew e del British Museum di Londra per esaminarne le raccolte della Malesia e dove ha la fortuna di conoscere grandi botanici, come gli Hooker, padre e figlio, e J. Ball, nonché C. Darwin, Beccari, non ancora ventiduenne, parte per la prima di quelle esplorazioni nel sud-est asiatico che lo renderanno famoso in tutto il mondo.
Le spedizioni compiute dal naturalista fiorentino in Malesia, Nuova Guinea, ma anche Australia e Nuova Zelanda abbracciano un arco di tempo che dal 1865 arriva al 1878, interrotto solo da brevi periodi trascorsi a Firenze, per lo più usati per la preparazione di nuovi viaggi, nonché da una spedizione compiuta nel 1870 in Africa Orientale, regione in cui tornerà ancora tra il 1879 ed il 1880.
Una volta tornato definitivamente a Firenze, Beccari, oltre a sposarsi e ad avere 4 figli, si dedicò allo studio delle sue collezioni botaniche, descrivendo decine di specie nuove e pubblicando i resoconti dei suoi viaggi, di cui il più noto sarà senza alcun dubbio Nelle Foreste di Borneo (1902), vero e proprio diario di quella esplorazione, che è caratterizzato oltre che da un grande rigore scientifico, anche da una scrittura piena di passione, di considerazioni filosofiche e talvolta persino poetiche.
Anche la Società Geografica Italiana ha celebrato l’anniversario della scomparsa di Odoardo Beccari, descrivendone le doti di divulgatore scientifico, capaci di influenzare anche Emilio Salgari che trasse ispirazione dalle descrizioni di Beccari dei paesaggi malesi:
La Società Geografica Italiana promosse, organizzò e premiò molte esplorazioni alle quali il naturalista prese parte. Ad oggi il materiale documentario che lo riguarda è conservato nei vari fondi archivistici societari (Amministrativo, Storico, Appendice al Fondo Storico) ed è consultabile nel portale Lazio’900.
Capace divulgatore, le sue osservazioni sono state oggetto di numerosi articoli scientifici e libri da lui stesso redatti tra cui Nelle foreste di Borneo, edito nel 1902. La sua produzione bibliografica costituì sin da subito un patrimonio in grado di ispirare non solo studiosi e ricercatori, ma anche scrittori di prestigio come Emilio Salgari, che si ispirò ai paesaggi e alle ambientazioni descritte da Beccari per ambientare le sue narrazioni di Sandokhan e dei pirati della Malesia. Racconti che hanno stimolato la fantasia di intere generazioni di lettori.
Del rapporto che c’è tra le scoperte di Odoardo Beccari e le opere di Emilio Salgari parla anche Paolo Ciampi nel libro Gli occhi di Salgari. Avventure e scoperte di Odoardo Beccari, viaggiatore fiorentino.
L’autore compie un percorso che, partendo dallo scrittore di tanti romanzi di avventure, Emilio Salgari, restituisce la singolare figura del naturalista Odoardo Beccari. Il libro si impernia sul gioco di rimandi e corrispondenze tra i due viaggiatori, quello vero e quello che viaggiò solo con la fantasia: Salgari, il capitano di lungo corso mancato. È così che acquistano vita e consistenza storica personaggi che abbiamo conosciuto sulle pagine dei romanzi salgariani. C’è più di un indizio che il romanziere si sia servito, per ricostruire un mondo mai visto, delle descrizioni del Beccari, del suo sguardo su questo mondo lontano. Un libro per gli amanti della letteratura di viaggio, per i cultori di scienze naturali e di storia delle esplorazioni.
Infine la Rivista della Natura ci narra della più stupefacente scoperta botanica di questo insigne naturalista, l’Amorphophallus titanum:
Scoprì e diede il nome a numerose specie animali e vegetali. Dopo un viaggio in Etiopia e una nuova esplorazione di Papua Nuova Guinea, dove ebbe modo di osservare gli uccelli del paradiso e le popolazioni locali in compagnia di Luigi D’Albertis, nel 1878 Beccari compì la sua scoperta più importante: esplorando le foreste di Sumatra identificò l’aro titano (Amorphophallus titanum), quella che è ancor oggi ritenuta la specie vegetale dotata della più grande infiorescenza al mondo, alta circa 3 metri. Questa pianta è oggi chiamata dagli anglosassoni corpse flower (fiore cadavere) a causa del cattivo odore, simile a quello della carne marcescente, che attira i suoi impollinatori, i coleotteri della famiglia Silphidae.
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