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Il caso Telegram

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Agosto è certamente finito col botto per chi si occupa di piattaforme, con l’arresto, in gran parte inaspettato, di Pavel Durov, 39enne fondatore della app Telegram. In estrema sintesi la vicenda: il cofondatore di origine russa (ma con passaporto anche emiratino, francese e di Saint Kitts and Nevis) della piattaforma di messaggistica (ormai quasi un social media) è stato arrestato mentre scendeva dal suo jet privato in Francia. Rimasto in custodia della polizia per 24 ore, poi prolungate a 96, è stato infine rilasciato mercoledì 28 agosto, dopo essere stato messo formalmente sotto accusa con una serie di capi d’imputazione ancora vaghi ma che sembrano concentrarsi sull’idea che Telegram non collabori abbastanza a fronte di inchieste su specifiche attività criminali che si svolgono sulla piattaforma. Durov ha ottenuto la libertà su cauzione (di 5 milioni di euro), non potrà lasciare la Francia e dovrà presentarsi a una stazione di polizia due volte alla settimana.

Le norme europee non c’entrano nulla con la vicenda, e sebbene sia piuttosto evidente, dei portavoce della Commissione si sono sentiti in dovere di specificarlo. A muoversi è la Francia e la procura di Parigi. “La quasi totale assenza di risposta di Telegram alle richieste giudiziarie è stata portata all’attenzione della sezione criminalità informatica (J3) del tribunale nazionale della criminalità organizzata (JUNALCO) presso la procura di Parigi, in particolare dall’ufficio nazionale per i minori (OFMIN)”, è scritto in un comunicato della procura (che contiene la lista di capi d’accusa).

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