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How Gardens Promise the Renewal of Life—and Its End

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Rivka Galchen sulle pagine del New Yorker recensisce “Spring Rain: A Life Lived in Gardens” di Marc Hamer (link alternativo), terzo libro di una trilogia, nel quale un ragazzo avventuroso che ha viaggiato per il mondo incontra se stesso da vecchio e insieme costruiscono un nuovo giardino da un terreno trascurato dietro la casa ai margini della città.

Dalla penna dell’autore di How to Catch a Mole e Seed to Dust arriva un nuovo libro di memorie molto originale sull’infanzia, la vecchiaia e il potere ristoratore dei giardini.

Il giardiniere professionista in pensione Marc Hamer ha sempre trovato le risposte alle domande della vita nel mondo naturale, sia come bambino che osserva le formiche, sia come giovane che vive senza casa in campagna, o come giardiniere professionista creando luoghi di piacere per gli altri. Ora che ha sessant’anni, sta finalmente creando un giardino per se stesso, nella sua casa di Cardiff, in Galles. Questo  libro di memorie è la condivisione di quello che ha imparato primavera della giovinezza ai suoi anni autunnali, nel quale riflette su come riconciliare la nostra infanzia con la nostra fine.  “Spring Rain” parla della gioia del giardino sul retro. È una storia sulla gioia delle piccole cose, il mondo in un granello di sabbia, un universo in un piccolo giardino, con amore per tutti gli insetti e le lumache e i fiori e le erbacce e i semi e le radici e i confini e l’ombra e il tempo che il giardino contiene.

Hamer descrive così il giardino dove lavorava:

I used to grow flowers, prune roses and cut lawns in a rich old lady’s garden for a living. The years went by and the trees that I planted as sticks bore fruit. For a few years I collected the apples and raspberries for her, and she crushed or boiled them into cider and jam; and in later years her interests changed and the fruits fell to the earth and lay there fermenting, smelling lovely and boozy in the sun, intoxicating wasps, until I took them to the compost heap. Flowers aged and spread too much or died, and I dug them out and composted them, split them into smaller clumps or replaced them with new ones; and I came to know two toads, three foxes and several cats, some robins and some crows as individuals. As they grew older, the foxes and cats passed and I buried the bones that I found below the trees I had planted, which marked their territory, and their children circled and sniffed around, apart from the crows, which—like the toads—just disappeared.

Rivka Galchen sul New Yorker racconta come il vecchio e il bambino si incrocino nel libro di Hamer:

For Hamer, one of the distinctive features of getting old is the arrival of a very particular ghost—that of himself as a boy. “It is not in my nature to look back but unusually I find myself doing it,” he writes, in “Spring Rain.” He typically refers to his young self not as “myself” but as “the boy,” whom Hamer experiences as “alive somewhere, traveling on seas that are sometimes rough.” The boy is dreamy, gentle, and has a heart open to the very small.

“Patterned with Hamer’s gifts for observation, compression, and tone. . . I tend to think of a garden story as inevitably circular: every winter is followed by a spring, again and again. Hamer’s garden story has that element, but it is as neighborly with the mortal arrow as it is with the return.”


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