A cura di @NedCuttle21(Ulm).
Nella trasposizione cinematografica del 1939, diretta da Victor Fleming, de Il meraviglioso mago di Oz, il celebre romanzo per ragazzi di L. Frank Baum pubblicato nel 1900, 124 individui affetti da nanismo vestono i panni dei Munckin (Mastichini), gli abitanti della Terra Blu, regione nella quale la protagonista, Dorothy Gale, impersonata nel film dall’attrice statunitense Judy Garland, viene trasportata col suo cane Toto, e all’interno della sua stessa casa, da un tornado che la sorprende nel Kansas, e da cui comincia un fantastico viaggio sulla strada di mattoni gialli che la condurrà, non prima di unirsi ad alcuni stravaganti personaggi, nella Città di Smeraldo. La morte, avvenuta il 24 maggio scorso, dell’ultimo dei mastichini, l’attore Jerry Maren, ha spinto il giornalista Matt Weinstock a indagare, per il New Yorker, sul rapporto, che pare non sia stato per niente facile né felice, tra il gruppo di “piccoli” attori e il mondo dello spettacolo, partendo proprio da quel loro primo, sorprendente incontro sul set del film di Fleming.
When the last lingering Munchkin from “The Wizard of Oz,” Jerry Maren, died in May, at the age of ninety-eight, I took the news harder than I had thought possible. “People come and go so quickly here” is the camp one-liner from the movie, but Munchkinland was one place where people could be relied upon to live forever. A hundred and twenty-four little people were employed in the making of “Oz,” and the survival of a few dozen of them long after the deaths of the movie’s gaudier alumni—Judy Garland, Bert Lahr, Margaret Hamilton—sometimes felt cosmically deliberate, a masterstroke of mythic structure. We have always relied on mortals to attest to the acts of the gods, and the ex-Munchkins cottoned to their role as a sort of ever-dwindling Greek chorus, riding on parade floats and pontificating about the meaning of “Oz” on television. “We finally got recognized,” Maren explained, in 1989. “You know, after everybody else died, they said, ‘Who’s left?’ ”
Un articolo a firma di Clara Miranda Scherffig pubblicato su Il Tascabile ripercorre la storia della rappresentazione delle disabilità e delle deformazioni fisiche nel cinema e nella letteratura.
Freaks nasce da un racconto di Todd Robbins, ma acquista statuto di culto grazie alla regia di Tod Browning, regista tardivo e già attore, controfigura, contorsionista, finto negro del varietà nonché autore del Dracula con Bela Lugosi del 1932 (altro “deformato” specialmente legato al cinema, come ricorda Francis Ford Coppola). Ambientato in un circo, il film impiega quasi per la maggior parte freaks veri, che avevano un business avviato come esibizionisti ed erano in alcuni casi delle piccole celebrità. Come il protagonista Hans, un nano di origine tedesca che si invaghisce della trapezista Cleopatra, rischiando così di farsi fregare il patrimonio da questa in combutta col forzuto Ercole, e finendo per spezzare il cuore alla fidanzata Frieda, nana anche lei. Hans e Frieda erano in realtà i 2/4 della Doll Family, performer professionisti che finirono notoriamente anche nel cast de Il mago di Oz.
Immagine da Wikimedia.
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