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L’oblio del vulcano

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A cura di @NedCuttle21(Ulm).

Come vive la gente che popola i paesi situati nell’area del Vesuvio e che rapporto ha col vulcano? In che condizioni versa l’unica strada a scorrimento veloce che la popolazione vesuviana sarebbe costretta a percorrere qualora il vulcano, risvegliandosi, rendesse improvvisamente necessaria un’evacuazione di massa? Che importanza danno i ricercatori alla comunicazione dei rischi connessi all’attività del Vesuvio? In cosa consiste il fenomeno del bradisismo? Qual è il livello di pericolosità della caldera dei Campi Flegrei e quali sono le opinioni degli studiosi circa il ruolo dei cosiddetti supervulcani nelle grandi estinzioni di massa? A queste domande prova a rispondere un articolo scritto dal giornalista scientifico Roberto Paura e pubblicato su Il Tascabile.

Al tempo di Giacomo Leopardi, alle pendici del Vesuvio sorgevano solo villaggi di campagna, paesini e casolari. Nella lirica La ginestra, composta poco prima della morte a Torre del Greco, il poeta racconta la vita dei contadini che, alla vista del pozzo improvvisamente disseccato e dei primi tremori della montagna, devono raccogliere in fretta e furia la famiglia, le proprie cose, qualche animale e scappare il più lontano possibile dalla furia distruttiva del vulcano. Perché, pur conoscendo il destino che può coglierli nel sonno, come accadde agli abitanti di Pompei, queste persone si ostinavano a vivere così vicini al vulcano? Per Leopardi, testimoniano la condizione umana perennemente in bilico tra vita e morte, tra la speranza di progresso e miglioramento e la minaccia perpetua di una natura ostile, indifferente agli uomini, che può spazzar via in poche ore una delle più grandi e ricche città dell’Impero romano: “Dipinte in queste rive sono dell’umana gente le magnifiche sorti e progressive”.

Immagine da Flickr – Pikapoko.


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