Un lungo articolo di Giorgio Samorini sul suo blog tratta delle teorie di Maria Laura Leone, formulate parecchi anni fa e confermate da recenti analisi, secondo le quali fra i Dauni sarebbero stati diffusi momenti di un culto magico-terapeutico incentrato sull’utilizzo dell’oppio, testimoniati da ricorrenti disegni sulle stele attribuite a questo popolo.
Abitanti dell’antica Daunia, l’attuale regione settentrionale delle Puglie che comprende il promontorio del Gargano, i Dauni praticavano, fra l’VIII secolo e gli inizi del VI secolo a.C., una particolare forma d’arte su stele istoriate con sembianze antropomorfe.
Queste stele, che possono raggiungere l’altezza di oltre un metro, hanno sembianze antropomorfe e sono costituite da un “corpo”, ricavato da una lastra di pietra, e da una “testa”, la cui forma stilizzata cuneiforme contribuisce all’originalità di questa espressione artistica. La testa è in alcuni casi parte integrante del medesimo blocco litico, mentre in altri casi veniva costruita separatamente e quindi applicata sul corpo.
Le stele daunie erano decorate con motivi geometrici e varie scene di vita.
I “corpi” di queste statue-stele sono incise da tutti i quattro lati di complessi motivi geometrici e di scene di carattere cultuale, e non solamente funebre, così come scene della vita quotidiana dei Dauni e scene di fantasiosi esseri zoomorfi. Singolari sono le scene di commiato fra due persone, processioni di uomini e donne che recano in testa dei vasi, scene di cura, tessitura, caccia, e scene erotiche. Le stele sono stilisticamente suddivise in “stele con ornamenti”, che rappresentano circa l’80% del totale conosciuto, e “stele con armi”.
Una decorazione ricorrente è stata a lungo studiata e diversamente interpretata dagli studiosi: alcuni hanno ipotizzato si trattasse di kymbala apotropaici (cerchi magici per allontanare gli spiriti maligni), altri la ritenevano la rappresentazione di melagrane.
Fra i disegni geometrici è ricorrente il grafema di un circolo o più circoli concentrici con al centro un punto, attaccato a un’asta lineare, a volte dotata di foglie laterali, tali da tradire un suo significato vegetale. In alcuni casi, dalla parte opposta all’asta lineare è disegnato un elemento geometrico dalla forma di un cono troncato.
Maria Laura Leone ha formulato nel 1995 un’ipotesi affascinante: il grafema riportato sarebbe stato un simbolo grafico del papavero da oppio. Questo comportava una interessante rilettura delle scene riprodotte sulle stele. Questa ipotesi sembrerebbe ora confermata da recenti analisi chimiche (su Frontiers in Chemistry lo studio appena pubblicato) effettuate su 14 ceramiche daunie in 8 delle quali è stata riscontrata la presenza di morfina e codeina, alcaloidi dell’oppio.
In seguito all’attenta analisi di un insieme di elementi iconografici e scenici delle stele, così come della ceramica daunia, l’archeologa pugliese Laura Leone (1995, 1995-96) ha formulato una sorprendente ipotesi interpretativa, che vedrebbe il grafema sferoidale come un simbolo grafico del papavero da oppio, e nelle scene delle stele sarebbero raffigurati emblemi, mitologie e momenti di un culto magico-terapeutico incentrato sull’utilizzo di questa pianta dalle note proprietà antidolorifiche, narcotiche e visionarie.
Su Arte preistorica è disponibile l’estratto dal Bollettino Camuno Studi Preistorici Vol. 28: pagg. 57-68 – 1995 che riporta il lavoro di Maria Laura Leone, Oppio: Papaver somniferum – La pianta sacra ai Dauni delle stele.
L´autrice avanza la teoria che i pendenti sferici appesi alla cintura delle Stele Daunie femminili possano rappresentare la pianta dell´oppio, Papaver Somniferum. L?importante ruolo spirituale che questa pianta potrebbe aver rivestito dovette essere monopolizzato dalla casta sacerdotale. Alla luce di questa interpretazione, queste stele assumono un nuovo significato. La Civiltà Daunia ci ha lasciato singolari testimonianze riguardo la sacralità della pianta da oppio, il Papaver Somniferum. Le stele femminili portano la pianta appesa alla cintura, riconoscibile nei pendenti sferici che il Ferri chiamò cerchi di risonanza, kymbala. Dal momento che tali pendenti sono attributo di questi monumenti, se ne deduce che la pianta ebbe un posto rilevante nella sfera spirituale di quella Civiltà. L’interpretazione di questi simboli, rintracciabili in un mondo che oscilla tra il naturale e soprannaturale, è insieme un contributo alla storia della fitoterapia e dei comportamenti religiosi connessi ai vegetali che rendono ´divini´. Per i Dauni il monopolio della pianta dovette essere privilegio di una casta sacerdotale. Alla luce di tali acquisizioni si può rivedere la questione della funzione dei monumenti, finora considerati funerari, ed aprire nuove ipotesi interpretative che contemplino la funzione di ex voto e/o di sculture propiziatorie.
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