In un articolo pubblicato su Il Tascabile, Denise Zani propone un’analisi delle cause da cui origina il sentimento indipendentista catalano.
Sono passati ormai quindici anni da quella volta in cui una studentessa mia coetanea mi disse di preferire una conversazione in inglese a una in castigliano. Io venivo dall’Università di Pisa e lei da Barcellona, eravamo a Salamanca e io non parlavo catalano, ma lei mi confessò di preferire la lingua di oltremanica allo spagnolo quando era costretta a parlare una lingua “straniera”. Sono passati quindici anni da allora. Nel frattempo la Spagna ha vissuto una crisi economica senza precedenti, ha vinto per la prima volta i mondiali, ha visto lo scioglimento del gruppo terrorista basco ETA, ha approvato i matrimoni tra le persone dello stesso sesso, ha scoperto che i suoi politici erano corrotti, è sopravvissuta agli attentati terroristici, ha riesumato un dittatore, vietato il fumo nei bar e perso tutte le edizioni di Eurovision. Eppure la questione catalana è rimasta lì, stoica, inamovibile, organizzata, politicamente argomentata e ogni giorno più rumorosa, urgente e ingarbugliata. Quindici anni fa mi sembrava solo un momento di stupore in una festa troppo affollata, poi è diventata un vicolo cieco che ha dato luogo a momenti di repressione e rappresaglie, scontri in punta di diritto e in virtù della quale alcuni politici sono finiti in carcere, mentre altri sono fuggiti in esilio.
Immagine da Pixabay
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