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Islam e marxismo

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Due siti marxisti propongono un’analisi di Maxime Rodinson (1915-2004), uno studioso comunista francese che dedicò la propria vita allo studio dell’Islam.
Nato in una famiglia ebraica di umili origini, Rodinson riuscì nonostante ciò a studiare arabo e ge’ez, e a compiere una brillante carriera accademica. Per vent’anni militò nel Partito Comunista Francese, e rimase fino alla morte un intellettuale pubblico, che tra le altre cose contribuì negli anni ’60 a popolarizzare, all’interno della sinistra francese, la causa palestinese e l’opposizione al sionismo.

Nei suoi studi di storia e sociologia Rodinson propose un’interpretazione dell’Islam ispirata al materialismo storico, che leggeva sia la vita e la predicazione di Maometto, sia le vicende successive del mondo islamico, sulla base delle condizioni sociali ed economiche preesistenti. Rifiutava l’idea di un’essenza immutabile dell’Islam, e al contrario enfatizzava come la religione potesse adattarsi a contesti molto diversi. In questo modo interpretò anche l’emergere del fondamentalismo islamico negli anni ’70, che per lui fu il risultato del fallimento degli altri progetti modernizzatrici esistenti e di scelte precise delle élite locali. Neanche la politicizzazione dell’Islam può però rivoluzionare l’ordine sociale.

Egli ritiene inoltre che le élite modernizzatrici dei Paesi islamici, lungi dal promuovere una visione secolarizzata del mondo, abbiano invece utilizzato il moralismo pietistico che attribuivano alle masse popolari come veicolo per le loro ideologie nazionaliste o socialiste. I liberali e i socialisti arabi, screditati dal loro fallimento economico, sono rimasti vittime della loro stessa trappola e hanno aperto la strada al fondamentalismo musulmano: “È più convincente lottare per questi ideali sotto la propria bandiera che legarsi ideologicamente a stranieri le cui motivazioni sono sospette, come propongono sia il nazionalismo marxista che il socialismo.”

Rodinson non prevede ulteriori successi per questi fondamentalisti, poiché la religione rimane, per lui, un’ideologia che non è sufficiente a determinare il funzionamento dell’economia o della società. I partiti islamici si troveranno quindi di fronte allo stesso dilemma dei loro predecessori: adattarsi al capitalismo globalizzato e camuffarlo con una “attitudine musulmana”, oppure scivolare verso un “fascismo arcaicizzante” che riduce la religione a un ordine morale. La prima strada è quella del Partito Democratico Turco, al potere tra il 1950 e il 1960 (oggi penseremmo al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo [AKP] di Recep Tayyip Erdoğan); la seconda, quella dei Fratelli Musulmani (i Talebani dell’Afghanistan).

 


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