un sito di notizie, fatto dai commentatori

Chi cancella cosa?

0 commenti

Doppiozero ospita due interventi contrapposti (di Mario Barenghi e Francesca Serra) sul politicamente corretto e cancel culture.

L’articolo di Barenghi (La maledizione della cancel culture) è critico sulla polizia della lingua. Fa l’esempio della parola «negro» e della sua evoluzione semantica. Questo vissuto è a volte intriso di connotazioni razziste, ma «passare il vocabolario con l’amuchina» arriva a cancellare la storia del termine senza offrire il minimo rimedio al problema sottostante (il razzismo, il sessismo, etc.). Secondo Barenghi:

Oggi possiamo e dobbiamo combattere le secolari ingiustizie, gli atavici pregiudizi e soprusi che essa conteneva; ma è puerile illudersi che a purificarci dalle nequizie passate e presenti basti evitare una parola – o, in italiano, un fonema (l’occlusiva velare di cui sopra).

Barenghi aggiunge una seconda questione, sul funzionamento delle parole nella società: ammette che è importante esprimesi correttamente e scegliere termini appropriati e rispettosi, ma l’importante è ascoltare «cosa si dice» più che la singola locuzione.


Specularmente a questa riflessione, Francesca Serra in un intervento più breve (Chi cancella cosa?) offre una prospettiva diversa:

Se qualcuno mi venisse un giorno a dire che una parola, per molto tempo usata tranquillamente e poi bandita in quanto stigma, per lui è così bella da non volerci rinunciare, io gli direi: «Benissimo». E gli consiglierei di addormentarsi ripetendosela tutte le volte che vuole, al posto di contare le pecore. Ma a casa sua, non in pubblico: in pubblico gli consiglierei invece di censurarsi. Non per ipocrisia o per proteggersi dalla rivolta puritana della folla dei bacchettoni del nuovo secolo. Piuttosto per una questione di rispetto: rispetto di ciò che ha significato per moltissime persone, per moltissimo tempo, in moltissimi luoghi uno stigma.

Serra vede la «censura» come una forma di educazione e di attenzione verso la sensibilità di persone che hanno un vissuto diverso dal nostro. Non vi è rischio di cancellare la storia o la cultura scegliendo termini. Chi lo fa intende ostacolare il propagarsi di certi stereotipi e stigmi; si può obiettare sull’efficacia di questa strategia, ma rimane una condotta plausibile e anzi opportuna in ogni società civile.

Serra prende ad esempio la parola «frocio» come esempio di un termine da non usare, per spezzare la catena ed interropere il «veicolo di trasmissione» della connotazione che la parola porta. La vera maledizione della cancel culture non è quindi un presunto puritanesimo e bigottismo, ma l’«abbraccio ferale con il discorso della destra».

 

 


Commenta qui sotto e segui le linee guida del sito.