In un articolo pubblicato su Il manifesto, (link alternativo) Guido Caldiron ci parla del saggio degli economisti Anne Case e Angus Deaton intitolato Morti per disperazione e il futuro del capitalismo.
Se la prima ondata della globalizzazione ha scosso i ghetti neri delle grandi città già alla fine degli anni Settanta, espellendo dal ciclo produttivo un numero importante di maschi adulti, spinti verso forme crescenti di emarginazione e comportamenti «a rischio», nel corso degli ultimi quindici anni è toccato ai loro coetanei bianchi il cui precipitare verso il basso è stato inoltre, se possibile, ancor più traumatico in virtù del fatto che prima della crisi i loro «buoni» posti di lavoro nella grande industria o comunque nel settore manifatturiero garantivano oltre ad uno status da «aristocrazia operaia», un buon salario e l’assicurazione sanitaria. Questo, mentre il tanto decantato boom dell’occupazione americana pre-Covid, durante le amministrazioni Obama e Trump, si è realizzato sulla base di «lavoretti» nei servizi, nell’assistenza, nella filiera alimentare che non offrono né i medesimi guadagni né tantomeno le stesse coperture sociali.
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