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Avere e non avere la bomba: il caso israeliano (ES)

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Come attuare una deterrenza nucleare, senza ammettere ufficialmente di avere bombe atomiche: un articolo in spagnolo descrive la storia e gli obiettivi del programma nucleare israeliano.

Otto paesi al mondo, di cui cinque aderenti al Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), hanno dichiarato di disporre di bombe atomiche: USA, Russia, Francia, Regno Unito, Cina, India, Pakistan, e Corea del Nord. Israele non aderisce al TNP, non ha mai ammesso di avere armi del genere, e tuttavia il suo status di potenza nucleare è un segreto di Pulcinella, confermato da innumerevoli rapporti e studi. Le origini del programma nucleare israeliano risalgono agli anni ’50, e si devono alla collaborazione con la Francia, nata dalla comune ostilità contro l’Egitto di Nasser (che sosteneva gli indipendentisti algerini, oltre che minacciare Israele). Gli USA, dal canto loro, all’inizio si opposero ai piani di Tel Aviv, per paura che essi potessero avviare una proliferazione nucleare da parte di altri paesi e destabilizzassero il Medio Oriente: alla fine però si accontentarono di promesse verbali da parte israeliana, e dopo Nixon accettarono una politica di ambiguità deliberata, in cui Israele non confermava né smentiva il proprio programma nucleare. Questa politica portò poi alla cosiddetta “dottrina Begin”, con cui Israele si impegnò pubblicamente, dopo il 1981, a impedire che i propri nemici sviluppassero armi atomiche, attraverso attacchi militari e operazioni non convenzionali.

Oggi si stima che Israele possieda un numero di testate compreso fra 80 e 400, e che disponga della cosiddetta “triade nucleare” (la combinazione di missili balistici, bombardieri strategici, e sottomarini, che garantisce la possibilità di poter garantire un’eventuale rappresaglia in caso di attacco atomico). Non ammettere ufficialmente tutto questo ha garantito alcuni vantaggi a Tel Aviv: oltre a salvaguardare le proprie buone relazioni con gli USA, non ha offerto provocazioni ai paesi rivali, e ha fornito una giustificazione morale per la dottrina Begin – che nei fatti consiste nella difesa di un monopolio nucleare regionale. Tuttavia non è detto che queste condizioni permangano per il futuro: l’Iran minaccia di sviluppare armi nucleari, e le altre potenze della zona verosimilmente seguirebbero a ruota, in un contesto in cui la presenza di un arsenale atomico israeliano rende difficili accordi sinceri di disarmo regionale.

Nel 1979, l’autore Paul Jabber descrisse l’ambizione israeliana di basarsi sull’ambiguità deliberata come confortante, ma pericolosamente illusoria. Il punto è che, nonostante la promessa di Simon Peres (a Kennedy nel 1963, Nota della marmotta) che Israele non avrebbe introdotto armi nucleari nella regione, gli stati arabi sono stati consci per decenni del fatto che la realtà era un’altra, e hanno agito di conseguenza. Nonostante ciò, le possibilità che in futuro Israele riconosca il suo possesso di armi atomiche sono remote, perché il suo attuale atteggiamento presuppone il rifiuto delle conseguenze del suo status di potenza nucleare. A questo si aggiunge il fatto che Tel Aviv ha posto come requisito fondamentale per il disarmo l’esistenza di pace e sicurezza nel Medio Oriente, il che è molto improbabile, vista la guerra in corso a Gaza, i molteplici conflitti che insanguinano la regone, e le ambizioni di potere di potenze come l’Arabia Saudita, l’Iran, la Turchia, o lo stesso Israele.

 


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