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Esercizi di controllo pandemico in Cina

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Alessio Giacometti su Il Tascabile recensisce il libro Contagio Sociale.

Gli autori (un gruppo di giornalisti e scrittori) di Contagio Sociale si firmano con lo pseudonimo di Chuang e mirano a smontare delle convinzioni errate sulla pandemia. Giacometti incomincia con le abitudini alimentari in Cina:

Esiste uno stereotipo di lungo corso, su certe abitudini alimentari dei cinesi, che non senza orientalismo e ipocrisia noi occidentali tendiamo a giudicare disgustose e anormali, antigieniche e malsane. Durante un periodo di studio in Cina, io stesso sono inorridito alla vista di un cane grossolanamente squartato e bellamente esposto in una macelleria ambulante nel Guandong, e ho avuto un sussulto per alcune grasse code di alligatore ostentate al banco dei freschi del centro commerciale più alla moda di Guangzhou.

Questo fa parte di una «retorica razzista», evidenziata in numerose pubblicazioni e che bisogna superare. La selvaggina, chiosa, non è un desiderio ma una necessità in molte zone della Cina, soprattutto in relazione al fluttuare della carne di maiale, e quindi la trasmissione animale-uomo non è che l’ultimo anello con una causa che va riconosciuta nel «sistema capitalistico-industriale».

Per continuare la sua folle corsa all’auto-accrescimento, il capitale detta radicali cambiamenti nell’uso della terra, nelle pratiche di allevamento e nelle abitudini alimentari, obbliga al rural push e all’urbanizzazione coatta, costringe le economie locali a confrontarsi con l’aggressività dei mercati globali: tutti fattori che spingono ceppi virali un tempo isolati o innocui verso ambienti iper-competitivi, nei quali trovano le condizioni ottimali per il salto di specie. È già successo altrove e con altre epidemie prima di Covid-19, si prenda Ebola(.)

Il rapporto pandemia/sistema economico è anche inverso, ovvero la diffusione del capitalismo è stata anche facilitata da flagelli divini come la peste europea. Negli Stati Uniti e in generale in Nordamerica il vaiolo e altre malattie “europee” mieterono numerose vittime, aprendo la strada al nuovo ordine dei colonizzatori.

Sembra quasi che, ogni volta che una pestilenza si abbatte sulle nazioni e fa terra bruciata, il capitalismo trovi spazio fertile per propagarsi ancora più brutalmente: anche l’affievolirsi della pandemia di Covid-19 ha visto un simile trionfo del “capitalismo di ritorno”, più spietato e inacidito di prima – un esito opposto al “capitalismo morente” profetizzato da Slavoj Žižek e altri intellettuali anti-sistema all’alba della pandemia.

Il libro continua con la gestione effettiva della pandemia. Gli autori confrontano una presunta efficacia ed efficienza delle misure statali, a volte propagandata anche dai media occidentali, con le politiche effettivamente messe in atto (censura, cocciuto immobilismo, leggi draconiane). I risultati sarebbero più buona sorte e ad una mobilitazione orizzontale (del popolo ma anche degli enti più decentrati) che buon governo centrale.

In Cina lo Stato ha spento i focolai e sedato il malcontento nei quartieri in lockdown con misure analoghe a quelle adottate nei casi estremi di contro-insurrezione, e al tempo stesso ha colto l’opportunità della pandemia per sviluppare nuove tecniche di controllo sociale da esercitare in futuri episodi di sommossa, dalle mobilitazioni per l’indipendenza di Hong Kong ai campi di rieducazione dello Xinjiang. “L’incompetenza basilare del governo cinese l’ha costretto ad affrontare il virus come se si trattasse di una rivolta popolare”, conferma Chuang, “mettendo in scena una guerra civile contro un nemico invisibile”. Pur nella disgrazia, Covid-19 è stata l’occasione per testare nuove tecnologie di tracciamento e per abituare la popolazione a una logica della sorveglianza sempre più intrusiva.


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