Gadda amava la Roma romanica e schifava il croconsuelo, cioè “una specie di Roquefort del Maradagàl, ma un po’ meno stagionato: grasso, piccante, fetente al punto da far vomitare un azteco, con ricche muffe d’un verde cupo nella ignominia delle crepe”. Così come lo schifava Gonzalo, il protagonista della Cognizione, che a dire il vero schifa un po’ di tutto e di tutti, compresi i compagni di scuola, la loro “interminabile processione verso la piscia…. Dai condotti intasati di croste di croconsuelo si diversava sulle scale di béola nerastre”.
In un paragrafo: gli aztechi, le muffe, la piscia e le scale di bèola, che scopro essere una roccia metamorfica della Val d’Ossola… Calvino lo scriveva nelle sue Lezioni, “una comicità grottesca con punte di disperazione smaniosa caratterizza la visione di Gadda. Prima ancora che la scienza avesse ufficialmente riconosciuto il principio che l’osservazione interviene a modificare in qualche modo il fenomeno osservato, Gadda sapeva che conoscere è inserire alcunché nel reale; è, quindi, deformare il reale”.
Voglio soffermarci su quell’aggettivo, grottesca, che al maschile qualifica il deforme e lo strambo, l’imbarazzante – che muove il riso pur senza rallegrare, dice Treccani – ma che al femminile diventa storia dell’arte; il grottesco nasce dalle grottesche, cioè delle decorazioni parietali, e per capirci dobbiamo tornare alla Roma romanica, dove nel medioevo si costruiva seppellendo l’età classica, costringendola a fondamento.
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