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Ibn Battuta, il più grande viaggiatore del Medioevo

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Javier Leralta su Storica parla del più grande viaggiatore del Medioevo, Ibn Battuta.

Quando aveva 21 anni, Ibn Battuta abbandonò la sua casa natale, a Tangeri, in Marocco, con il proposito di compiere uno dei cinque comandamenti della fede musulmana, il pellegrinaggio a La Mecca, e approfittare per ampliare i suoi studi giuridici in Egitto e in Siria. «Presi dunque la decisione di abbandonare le mie amiche e i miei amici e mi allontanai dalla mia patria proprio come gli uccelli lasciano il nido», avrebbe scritto tempo dopo. Tornò solo dopo aver compiuto 45 anni, per ripartire subito alla volta di nuove destinazioni, verso Al-Andalus e il sud del Sahara.

Durante trent’anni di viaggio, Battuta visitò quasi tutto il mondo conosciuto: dal Nord Africa, alla Cina, a Ceylon, per poi ripiegare verso la Russia arrivando al regno di Aragona. Le sue annotazioni sono molto dettagliate e spaziano dalle persone incontrate alle descrizioni delle città («perla splendente e luminosa, una donzella folgorante» scrive di Alessandria).

Le memorie di Battuta ricordano quelle di due altri famosissi viaggiatori, Il Milione di Marco Polo e Relazione del primo viaggio intorno al mondo di Antonio Pigafetta, sia per i fatti descritti che le qualità letterarie:

Dopo un viaggio di sei giorni nel deserto, il settimo arrivammo nell’Oman, un paese fertile e irriguo, disseminato d’alberi, giardini e palmeti, ove crescono vari tipi di frutta. La capitale, Nazwâ, sorge a piè d’un monte circondata da giardini e da ruscelli e possiede bellissimi mercati e imponenti moschee molto ben tenute. La gente di qui, fra l’altro, ha l’abitudine di mangiare nel cortile delle moschee: ognuno porta quello che ha e pranzano tutti insieme — e se c’è qualche viaggiatore, mangia insieme a loro. Sono uomini arditi e coraggiosi, sempre in guerra fra di loro, che seguono il rito ibadita: perciò al venerdì, dopo le quattro rak’a della preghiera di mezzogiorno, l’imam recita qualche versetto del Corano e tiene un discorso simile alla khutba pronunziando la formula «Che Dio si compiaccia di Abü Bakr e di ‘Umar», senza nominare ‘Uthmân e ‘Ali. Le loro donne si comportano in modo scandaloso ma gli uomini, per nulla gelosi, non le disapprovano: racconteremo oltre una storia che ne darà testimonianza.

La messa in prosa dei suoi ricordi avviene nel 1355, quando il sultano di Fez gli assegnò il compito di scrivere delle sue esperienze di viaggio. Così nacque Un dono di gran pregio per chi vuol gettar lo sguardo su città inconsuete e peripli d’incanto, dettato da Battuta ad un poeta di Granda conosciuto nelle sue peregrinazioni.


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