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Il futuro dei conservatori

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Il Mulino, a firma Steven Forti, propone un’analisi dello stato attuale del mondo conservatore in Occidente.

Il Partito popolare europeo (Ppe), pur essendo ancora il primo partito a Bruxelles nonostante l’espulsione dei tredici deputati di Fidesz, ha ottenuto il 21% dei voti alle elezioni europee del 2019, quando nel 2014 era al 29,4% e cinque anni prima sfiorava il 36%. Ha praticamente dimezzato i suoi voti in appena un decennio. Per di più, con la formazione dell’esecutivo guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz in Germania, ha perso anche l’ultima presidenza di un governo importante dell’Unione europea. […] una profonda debolezza che non è solo elettorale. Riguarda in primis il progetto politico.

Secondo Forti, i conservatori

sono poco a poco rimasti schiacciati tra l’incudine di quella che Ronald Inglehart ha definito la «rivoluzione silenziosa» e il martello della «contro-rivoluzione silenziosa» delineata già una trentina d’anni fa da Piero Ignazi. Ossia, da una parte la diffusione dei valori progressisti e post-materialistici; dall’altra, la reazione nativista e autoritaria rappresentata dalle nuove estreme destre.

Questa situazione fa dire all’autore che il conservatorismo è il vero «anello debole» delle democrazie contemporanee e per via di queste spinte centrifughe vi è un rischio di «radicalizzazione» (o alternativamente, di dissoluzione o fagocitamento) dei movimenti centrodestra.

Quasi a rispondere a questi timori, il politologo Giovanni Orsina (Luiss) scrive il policy brief Un conservatorismo per il XXI secolo? Spazio politico e sfide obbligate. Orsina osserva che l’accelerazione dei movimenti populisti — la vera cifra politica dello scorso decennio — potrebbe essere alla fine, con una «regressione» ad un’ideologia più strutturata e affidabile come quella appunto conservatrice.

L’articolo analizza le traiettorie sociali degli ultimi decenni, soffermandosi sulla velocità dei cambiamenti, la radicalizzazione a sua volta del progressismo e un certa vulgata per cui ogni cambiamento è di per sé positivo, il nuovo è bello e il vecchio è il male:

Questi tre processi hanno aperto spazi importanti a una reazione conservatrice. Più in positivo, l’integrazione del Pianeta sta riportando in superficie, in segmenti consistenti delle opinioni pubbliche occidentali, quello che in altra epoca Simone Weil ebbe a definire «il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana»: il radicamento.

C’è quindi, secondo Orsina, spazio per una posizione politica conservatrice, a patto che si affrontino tre questioni:

1. Reagendo alla radicalizzazione del progressismo, il conservatorismo rischia di radicalizzarsi a sua volta.

2. Un conservatorismo che abbia a cuore il radicamento (e la democrazia) non può fare a meno di valorizzare la dimensione nazionale. Deve però avere la consapevolezza che qualsiasi mossa de-globalizzante potrebbe avere effetti negativi considerevoli [e che] ri-nazionalizzare potrebbe significare indebolire i valori occidentali.

3. La terza e ultima sfida riguarda l’economia […] il mercato è un potentissimo dissolutore di radicamento. Forse il più potente che ci sia. Far convivere il radicamento con il mercato è la terza grande sfida alla quale il conservatorismo del XXI secolo è chiamato a rispondere.

 


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