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La Cina, fra consenso interno e protagonismo internazionale

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Due articoli usciti di recente cercano di gettare luce sugli sforzi di politica interna ed estera del governo cinese. Il primo, firmato da Dimitar Gueorguiev, professore associato presso la Syracuse University, e ospitato sul sito di ISPI [EN], analizza la stretta del Partito Comunista Cinese sul controllo della Terra del Dragone, un fenomeno che si protrae da almeno un decennio.

The Chinese Communist Party (CCP) has been tightening its grip for over a decade, but the last few months have felt like a white-knuckle ride. CCP disciplinarians have expanded their watch to non-state actors and grassroots bureaucracies. Social controls have homed in on predictable targets, like journalists and lawyers, as well as new ones, like influencers and entertainers. Screws are tightening in the economic realm as well, with national champions and speculative titans being brought to heel.

Le ragioni affondano nel rallentemento dell’economia, nell’invecchiamento demografico e nella fragilità dei settori trainanti, fra cui il mercato immobiliare. La risposta del governo è stata quella di introdurre leggi più severe e controlli più minuziosi:

Adjusting to slower growth, materially and mentally, will be painful and Xi Jinping’s administration has demonstrated a willingness to inflict that pain. Regulatory scrutiny alone has wiped trillions of dollars from the books of Chinese economic champions, like Alibaba and Tencent. Regulatory intervention in the real-estate sector has already nudged China’s second largest developer into a 300-billion-dollar default spiral, with other property dominoes teetering on the edge. For hundreds of millions, state intervention is now visible in how they spend their income and leisure time.

I risultati, tuttavia, si fanno ancora attendere.

Tightening has not delivered clear success, so far. Take anti-corruption, an issue where Xi has made his strongest mark. While over 60 percent of the population perceive the corruption situation has improved, over 60 percent also believe corruption remains a “major problem,” and China has barely budged in comparative rankings, like the Corruption Perception Index. It is not lost on observers that the state was able to eradicate poverty over the last ten years but has seemingly made little progress in ending political exploitation.

Il secondo articolo, pubblicato su Difesaonline, descrive le ambizioni militari della Cina. Fino ad ora, le forze armate cinesi sono rimaste entro i confini nazionali, con l’eccezione di una base a Gibuti, nel Corno d’Africa. Le cose, però, potrebbero cambiare:

La Cina starebbe cercando di estendere una logistica d’oltremare più solida e un’infrastruttura di base per consentire alle sue forze armate, PLA (esercito di liberazione popolare), di proiettare e sostenere la potenza militare a distanze maggiori, per garantire i crescenti interessi all’estero della Repubblica popolare cinese e portare avanti i suoi obiettivi di politica estera.

Recentemente, molti sostengono che nella Guinea Bissau, paese africano ricco di petrolio sulla costa atlantica, la Cina potrebbe costruire nei prossimi anni un porto a uso militare e commerciale (colpi di stato permettendo, la Guinea ha subito quattro colpi di stato militari dall’indipendenza dal Portogallo nel 1974, il più recente nel 2012), fornendo così a Pechino l’accesso militare al medio Atlantico. Cina e Guinea-Bissau hanno firmato un memorandum d’intesa (MOU) sulla Belt and Road Initiative (BRI) alla fine del mese di novembre dello scorso anno.

 


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