Su suggerimento di @martina.
In un articolo scritto per Agi, Marco Ambrogi riassume brevemente le criticità attuali delle finanze pubbliche italiane e ripercorre i passaggi che hanno condotto a un debito così alto. Ambrogi parte dalla metà degli anni settanta, quando il debito inizia a crescere, passando dalla pesante svalutazione della lira imposta dalla crisi valutaria del ’92, innescata dalle speculazioni di George Soros, per finire con la vanificazione dei successivi sforzi per riportare il debito al 100% del PIL con la crisi dl 2008. Le conseguenze dell’alto debito pubblico, sottolinea Ambrogi, si sono fatte sentire negli anni passati sotto forma di effetti deflattivi dovuti al necessario contenimento del bilancio pubblico, ma potrebbero diventare ben più pesanti se lo spread aumentasse e le l’Italia subisse un ulteriore declassamento da parte delle agenzie di rating.
Lo spread ha un effetto diretto sull’economia reale soprattutto attraverso le banche che, in quanto detentrici di titoli di Stato, vedono ridursi il valore del loro patrimonio (il valore dei titoli si muove in modo inverso a quello dei rendimenti) e quindi la loro capacità di erogare crediti. Se poi lo spread superasse un certo livello (per L’Italia si parla di una quota 400 – 450 punti base) le banche sarebbero tenute a loro volta a ricorrere al mercato per ricapitalizzarsi. Da questo punto in poi, in assenza di misure drastiche del governo per la riduzione del debito, la crisi rischierebbe di avvitarsi. Qualora le agenzie di rating portassero la loro valutazione del debito italian al di sotto dell’ “investment grade” (ovvero sotto BBB-), le nostre banche non potrebbero più rifinanziarsi presso la BCE e la crisi si trasformerebbe in una crisi di liquidità che ben presto arriverebbe fino ai bancomat.
Immagine da pixabay.
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