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Niente culture wars, siamo Inglesi

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Gli ultimi anni ci hanno abituati a una crescente polarizzazione del dibattito pubblico ma forse il vento sta cambiando, perlomeno in Gran Bretagna.
Henry Mance, sul Financial Times, descrive come le controversie più strettamente identitarie (per esempio su gay e trans, immigrati e memoria coloniale, Europa e femminismo) sembrino sempre meno pressanti ed accese, nel paese che pochi anni fa si era spaccato a metà sulla Brexit.

Forse i problemi economici stanno portando la gente a riconsiderare le proprie priorità (“Who cares if they are paying in pounds and ounces if the prices are so high?”), e a dividersi su temi più strettamente economici. Forse stiamo assistendo a un “riflusso”: dopo gli anni della Brexit, i Britannici si sono stufati di discuterne e allo stesso tempo non sono più così nervosi e ansiosi come durante il lockdown.

In generale comunque sembra che in Gran Bretagna abbiano ancora la tendenza a considerare distintamente i vari temi del dibattito pubblico invece di prendere posizione unicamente in base alla loro identità di conservatore o liberal (“In America, if you tell me what someone thinks about immigration, I can tell you what they think about climate change. In the UK, people are much more likely to approach things issue by issue.”).
Su molti temi, come i diritti dei gay, c’è stata un’accettazione bipartisan e anche su ciò su cui il dibattito è aperto (come i trans negli sport) c’è troppa poca animosità per trasformarlo in un tema politico scottante.

Infine, nel Regno Unito è più difficile licenziare il personale di quanto succeda negli USA, e questo dissuade le compagnie dall’assecondare gli attivisti che chiedono la testa di qualcuno accusato di transfobia.

Whatever the reason, a truce in the culture wars would be significant. It would show that British politics is not as like US politics as many observers assume. While our long-lost cousins dig trenches over abortion and guns, Britons may have bridges. Even as rallying cries such as Black Lives Matter cross the Atlantic, their precise manifestation does not. A culture war is not necessarily our destiny.


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