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Un altro mondo: si salva solo l’individuo

Un altro mondo: si salva solo l’individuo

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Su Doppiozero, Claudio Cinus propone un’analisi di Un altro mondo, l’ultimo film del regista francese Stéphane Brizé.

Responsabile di una fabbrica francese di elettrodomestici che appartiene a un gruppo internazionale, Philippe (Vincent Lindon) si trova a un livello gerarchico che lo pone al comando di centinaia di persone ma anche alle dirette dipendenze di una coordinatrice nazionale, la quale a sua volta deve rispondere direttamente al vero capo, l’americano Cooper. Non è in una posizione comoda: ha un incarico di grande responsabilità ma non ha un potere decisionale totale; ha uno stipendio elevato ma soldi e prestigio non sono sufficienti a rendere felice la sua famiglia. La moglie Anne (Sandrine Kiberlain), per quei soldi e per quel prestigio ha accettato di rinunciare alla sua carriera, ha accettato a malincuore di vedere sempre meno il marito anche nei fine settimana, ma non accetta più che lui inquini il clima familiare a causa dello stress accumulato sul lavoro e poi sfogato in casa.

Il figlio Lucas (Anthony Bajon) assorbe questa negatività domestica che gli provoca un preoccupante tracollo nervoso. Tuttavia né le pratiche per il divorzio né il ricovero del figlio in una clinica possono distrarre Philippe dal compito che gli è stato assegnato: individuare a sua completa discrezione cinquantotto dipendenti da licenziare, non uno di meno. Deve produrre un numero esatto, perché è quanto ci si aspetta da lui. Ma si pretende anche che la fabbrica non abbassi il livello qualitativo nonostante una diminuzione dell’organico di circa il 10%. Gli è stato assegnato un mandato illogico ma vincolante, aggravato dall’ansia di dover scegliere a chi rovinare la vita privandolo dell’impiego.

 


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