Uno degli aspetti meno discussi di fronte al pubblico della transizione energetica è la struttura della rete di distribuzione. Un editoriale di Luca Romano su Today illustra le sfide che ci troviamo davanti.
Passare da un modello di generazione centralizzato ad uno diffuso impone una sensibile modifica della struttura della rete. Luca Romano illustra il problema con un piccolo esempio estremamente semplificato, ma già qua i risultati sono sorprendenti
In pratica, sono passato da una situazione in cui mi servivano 3 connessioni, ciascuna con capacità X, a una situazione dove mi servono 6 connessioni a raggiera, ciascuna con capacità 3X
Il problema è ben noto e studiato anche dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA). Un report di Novembre 2023 riassume l’impatto della transizione energetica sulle reti di trasmissione.
“Per raggiungere gli obiettivi climatici servono 80 milioni di km di linee elettriche entro il 2040, ovvero quanto costruito negli ultimi 100 anni” spiega il direttore dell’Iea Fatih Birol.
Su queste basi, l’IEA giunge a stimare il costo dell’adattamento delle lineedi distribuzione per far fronte alla transizione energetica. Sia in termini monetari, che in termini di mero utilizzo di materie prime, i risultati non sono incoraggianti.
Supponendo che il 3% delle nuove reti siano nella fascia dell’altissima tensione, solo per quel 3% servirebbe una quantità di alluminio che va da 30 a 56 milioni di tonnellate, a seconda se la linea è a terna singola o doppia – la produzione mondiale annuale di alluminio nel 2021 è arrivata a 67 milioni di tonnellate, e l’alluminio si utilizza praticamente ovunque.
Se il 30% delle nuove reti fosse costituito da cavi aerei a media tensione, come quelli della nostra rete nazionale (dove la media tensione costituisce circa il 30% delle connessioni), la quantità di rame richiesta solo per quella quota-parte sarebbe di 75 milioni di tonnellate, cioè quasi il quadruplo dell’attuale produzione mondiale.
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