Silvia Schirinzi sulle pagine di Rivista Studio si interroga sui mutamenti che ha subito lo stile personale nell’era dei social media e del consumismo spinto.
La discussione social intorno al “personal style” ci racconta cosa significano oggi i vestiti, tra spirito di emulazione, nostalgia e consumismo estremo.
La tendenza a imitare lo stile di celebrità e influencer è diventata sempre più comune e l’articolo analizza alcuni esempi tra stile “old money”, look eccentrici e infine guardaroba essenziali e sostenibili.
Lo stile “old money” è un’estetica che vorrebbe evocare il lusso discreto e l’eleganza senza tempo delle famiglie benestanti di vecchia data. E’ un modo di vestirsi che privilegia abiti e accessori di alta qualità, spesso realizzati su misura o da marchi storici, dai toni neutri come il beige, il grigio, il blu navy e il bianco sono predominanti. Tagli classici e materiali pregiati vorrebbero fare riferimento alla tradizione. Su Tiktok questo stile è stato impersonato da Sofia Richie ed è parte di una discussione più ampia sul modo in cui oggi ci si rapporta a influencer, celebrity o chiunque si guadagni il titolo di icona di stile:
Nel post Covid, Richie è stata una dei punti di riferimento dello stile “old money” che è impazzato sulla piattaforma, e purtroppo anche sulle passerelle (a quella fascinazione abbiamo dedicato il numero 56 di Rivista Studio), un fenomeno che altro non ha evidenziato se non la graduale trasformazione della moda in lusso.
C’è chi come Mina Le è passata attraverso lo stile vintage, entrando nel meccanismo stesso dell’industria della moda e poi virando verso uno stile sostenibile.
In particolare, l’idea di diventare uno strumento per il marketing dei brand di moda l’ha fatta riflettere: non è la personalità a venire premiata, ma l’estrema adattabilità, l’essere malleabile a questo o quel look, il tempo di una sfilata o un video sponsorizzato, e via al contenuto successivo, non che sia necessariamente un problema.
Silvia Schirinzi ci parla poi di Emma Chamberlain che ha invece iniziato il decluttering del suo guardaroba, vergognandosi un po’ degli acquisti compulsivi dettati anche dal desiderio di non indossare due volte lo stesso capo su Instagram. La Chamberlain ha adottato un “cabinet wardrobe” fatto a modo suo, sempre con molti capi nell’armadio, forse troppi, scatenando le critiche di chi ha visto solo una svolta verso un abbigliamento basic, ma comunque non alla portata di tutti.
Chamberlain è la Youtuber che forse più di altri ha definito quello che, sempre noi anziani, definiamo “stile Gen Z”: caotico, caustico, disordinato e volutamente low-fi. Un po’ di Y2K, un po’ di streetwear, un po’ di pezzi moda, un po’ di qualsiasi -core sia andato virale: Chamberlain inizia il suo decluttering mostrandoci quello che ha tenuto, con un’ammissione di colpa.
I social media insomma secondo l’articolo hanno frammentato lo stile personale in una miriade di micro-trend, portando a un acquisto compulsivo e alla perdita di un vero senso di stile individuale.
Ne parla anche il recente documentario di Netflix Buy Now, a cui si perdonano i toni cospirazionisti perché, ecco, alla fine dice cose vere. Si prenda il caso dell’obsolescenza programmata degli oggetti tecnologici e lo si applichi allora alla moda, o almeno a ciò che è diventata oggi dopo l’esplosione del fast fashion, la supply chain globale e il cambiamento nelle abitudini di consumo: inconsciamente o meno, i nostri armadi sono troppo pieni e spesso la maggior parte di ciò che custodiscono non regge la prova del tempo.
La questione dello stile personale perduto riguarda anche l’ispirazione e l’emulazione, in un’epoca nella quale si sono sfaldati i punti di riferimento classici del settore, come le riviste tradizionali o le dive che facevano tendenza, mentre il fenomeno dell’influencer marketing comincia a mostrare la corda in parallelo a una mercificazione delle sottoculture sempre più spinta.
Della costruzione dei uno stile personale nell’abbigliamento si è occupato anche Vogue Italia in un articolo che ha cercato di dare dei consigli su come orientarsi nella confusionaria proprosta dei social media.
Andare a ritroso dalla generazione dei Millennials in poi significa soprattutto comprendere sempre meno la dimensione radicalmente diversa in cui Gen Z e Alpha sono cresciute: essere nativi digitali ha i suoi pro e i suoi contro, e navigare alla scoperta della propria identità in questo mare vorticoso può – in particolare per queste generazioni – sopraffare. Tuttavia, in un viaggio così affascinante e complesso, la miriade di influenze che permea l’universo virtuale offre delle piattaforme senza precedenti per esprimere la propria individualità e connettersi con una vasta gamma di culture e idee. La ricerca e la condivisione di sé con il mondo assume così nuove e positive sfumature: dopotutto, la rappresentazione di corpi, età, generi ed etnie non è mai stata così ampia e i “confini” tra essi mai così fluidi, nonostante il cammino da percorrere sia ancora lungo. Tutto questo ha offerto indubbiamente una vasta gamma di ispirazioni e riferimenti per raccontarsi in primis sui social, sino ad arrivare all’esplosione, negli ultimi mesi, del curioso trend “your vibe”.
Il termine “your vibe” si traduce in italiano come “la tua vibrazione” e rappresenta un insieme di caratteristiche che riflettono la propria personalità e i propri gusti. Consiste nel creare moodboard (una piccola raccolta visiva di immagini, colori, testi e oggetti che rappresentano un concetto, un’idea o uno stile, permettendo di vedere come diversi elementi si combinino tra loro per creare un’estetica coerente). “Your vibe” è un trend molto popolare sui social, soprattutto su piattaforme come Pinterest.
La ricerca di un proprio stile personale sembra passare anche attraverso la riscoperta di vecchi metodi anni 80 che l’articolo riassume punto per punto (natural, classic, dramatic, gamine, romantic):
Non è un caso che, in linea con la tendenza “your vibe”, sui social si sia ripescato anche un metodo risalente agli anni ‘80 che permette di scoprire i propri archetipi di stile. Parliamo del celebre metodo di David Kibbe, una classificazione di 5 essenze – suddivise in sottogruppi con peculiarità ancora più specifiche – ideata dall’omonimo stilista e consulente di immagine statunitense, basata sul bilanciamento tra caratteristiche Yin (femminili) e Yang (maschili).
Ciò che risulta interessante è soprattutto la reinterpretazione di questo sistema, in cui morfologia del corpo e lineamenti del viso che, secondo il metodo originale, dovrebbero avere un peso non indifferente nel risultato finale del test, non sono particolarmente presi in considerazione: sono le essenze di stile catalogate da Kibbe a essere delle vere e proprie ispirazioni visive riflesse nei look da passerella o negli outfit delle celebrities, da identificare, combinare e adattare su di sé.
Sembra tutto molto complicato vero?
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