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Con i medici a gettone andiamo verso un drammatico smantellamento del sistema sanitario pubblico

Con i medici a gettone andiamo verso un drammatico smantellamento del sistema sanitario pubblico

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Su Valigia Blu, Alice Facchini discute il fenomeno dei «medici a gettone», analizzando le cause dietro il problema della mancanza di personale medico-sanitario – in particolare di medici specializzati in medicina di emergenza-urgenza.

In Italia i medici al pronto soccorso scarseggiano, il servizio rischia di non essere garantito e le strutture, per tamponare il problema, ingaggiano sempre più medici a gettone. Si tratta di un nuovo metodo di reclutamento, che consiste nel reclutare medici liberi professionisti a chiamata tramite società private o cooperative, per coprire turni e servizi scoperti. Il fenomeno era iniziato già qualche anno prima della pandemia, ma con l’emergenza sanitaria è diventato sempre più strutturale. In particolar modo, questo meccanismo coinvolge i medici d’urgenza che operano nei pronto soccorso, ma anche i pediatri, i ginecologi e gli anestesisti.

La Società italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) ha fatto un’indagine da cui risulta che quella dei medici a gettone è una prassi che si è radicata in quasi tutto il territorio italiano. In Veneto vi fa ricorso il 70% degli ospedali, il 60% in Liguria, il 50% in Piemonte. In Friuli Venezia Giulia e nelle Marche tutte le strutture sanitarie hanno ricorso ai medici a gettone. 

“All’inizio il fenomeno era confinato nelle regioni con maggiore carenza di medici, mentre adesso si è esteso a livello nazionale”, spiega il presidente di Simeu, Fabio De Iaco. “Questo genera due ordini di problemi: innanzitutto gli alti costi per il sistema sanitario nazionale, considerando che le paghe dei medici a chiamata arrivano anche a mille euro per un turno di notte, molto più di quello che recepiscono gli strutturati. E poi c’è la questione dell’esperienza: spesso i medici a gettone non hanno un’adeguata preparazione e non è raro che nei pronto soccorso lavorino neolaureati non specializzati”.


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