Su suggerimento di @Ergosfera
La sequenza con la quale nei secoli è avvenuta la categorizzazione linguistica del colore può fornirci importanti indicazioni sui contesti culturali e sul carattere evolutivo della percezione visiva. Infatti, se la capacità fisiologica di percepire i colori è comune a tutte le popolazioni ed è quindi una caratteristica universale, la capacità di discriminare i colori è correlata al contesto geografico in cui le culture si sono sviluppate. Cristina Rigutto su Academia.edu propone una interessante e dettagliata storia dei colori. Linkiesta pubblica invece un quiz per capire se si riescono a discernere i colori meglio di un pittore che – abituato a lavorarci – sviluppa una sensibilità maggiore della norma.
Certo, l’individuazione dei colori, oltre a essere un fatto biologico, è anche un fatto culturale. Distinguere blu e azzurro, ad esempio, non si fa in inglese (blue è blue, e basta). E ci sono lingue, narrano le leggende, che ne distinguono tre o quattro. Il greco antico, poi, con i nomi dei colori ne descriveva non tanto la tinta (è la famosa “cecità cromatica”, secondo Nietzsche) quanto la lucentezza. Per cui il “mare color del vino” di Omero non indica onde rossastre, ma dai bagliori scuri.
Immagine di Pilottage via Flickr, CC BY 2.0
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