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La generazione ansiosa

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Su Doppiozero, Elena Dal Pra recensisce l’ultimo lavoro dello psicologo statunitense Jonathan Haidt, uscito in Italia col titolo La generazione ansiosa. Nel libro Haidt analizza il rapporto tra le nuove generazioni e i dispositivi digitali, concentrandosi in particolare sulle problematiche legate alla diffusione dello smartphone.

A partire dalle rilevazioni dell’aumento dai primi anni Dieci – appena dopo l’introduzione di like, retweet e fotocamera frontale, e l’acquisizione di Instagram da parte di Facebook – nella generazione Z dei paesi occidentali, di ansia, depressione maggiore, disturbi dell’attenzione, anoressia, schizofrenia, accessi ospedalieri per atti di autolesionismo, suicidi, e comparando questi dati con quelli relativi alle altre fasce di età, Haidt stabilisce con la diffusione dello smartphone non solo delle correlazioni ma dei nessi causali. Analizzando i fattori essenziali per uno sviluppo sano, fa risalire l’inizio della crisi a un periodo già precedente, ossia agli anni Novanta. Fino ad allora il gioco libero senza la supervisione di genitori adulti, e tra bambini di età diverse, era la regola, e permetteva in situazioni tutto sommato poco rischiose di acquisire sicurezza, capacità di gestire e riparare i conflitti, propensione a creare relazioni e gruppi – un apprendimento sociale per cui il nostro cervello è una spugna in particolare dai nove ai quindici anni. In seguito, con la maggiore mobilità, l’allentarsi dei legami di vicinato, l’allungarsi della giornata scolastica, la propagazione più rapida di notizie di casi allarmanti quanto rari, e la sparizione di un vivere comune che in qualche modo si faceva spontaneamente garante anche per i figli altrui, si è generato tra i genitori, che di figli ne hanno sempre meno, un culto della sicurezza sopra tutto. Così, bambini e ragazzi sono stati meno esposti a quelle attività fondamentali per il loro sistema naturalmente “antifragile”, ossia che si struttura e impara dall’incontro con sfide e ostacoli, con l’imprevisto.

Sempre su Doppiozero, Vittorio Gallese critica invece il lavoro di Jonathan Haidt.

Nel corso della storia, l’emergere di nuove tecnologie che alterano la rappresentazione e la riproduzione del mondo ha sempre suscitato aspre critiche e previsioni di un’imminente rovina. Da Platone in poi, varie tecnologie cognitive come l’alfabetizzazione, la poesia, la fotografia, il cinema, la televisione, Internet e gli smartphone sono state diffamate per il loro impatto negativo sugli individui e sulla società. Tuttavia, queste nuove tecnologie cognitive hanno progressivamente ampliato le capacità umane di espressione creativa. Sebbene alcuni siano propensi a liquidare le preoccupazioni legate all’adozione delle tecnologie digitali come ansie convenzionali derivanti da atteggiamenti conservatori nei confronti del progresso e dell’innovazione, è comunque difficile ignorare il potenziale di cambiamenti senza precedenti nelle nostre vite e nelle nostre società determinato dall’avvento di queste nuove tecnologie digitali.

 


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