Nell’anniversario dell’assassinio di Saman Abbas, la giovane ragazza pakistana che viveva nella bassa reggiana, sono state pubblicate le motivazioni della sentenza con cui in primo grado sono stati condannati i genitori e gli zii. Ne parlano Jacopo della Porta della Gazzetta di Reggio e il Resto del Carlino nella cronaca di Reggio.
Se da un lato il collegio giudicante ha accolto le richieste di condanna della Procura di Reggio dall’altra parte lo ha fatto seguendo un ragionamento che non coincide affatto con quello dell’accusa. Non fu il rifiuto alle nozze combinate l’elemento scatenante ma la scoperta che Saman intendeva andarsene di nuovo da casa. Quindi non sarebbe stato un delitto a lungo premeditato ma deciso solo poco prima dell’esecuzione.
Anche sull’esecutore materiale del delitto non vi sono chiare indicazioni potrebbe essere stato uno zio così come pure la madre, unica tra gli imputati ancora a piede libero. L’unica cosa che «si può affermare con sconfortante certezza (è) che i genitori abbiano letteralmente accompagnato la figlia a morire».
Per i giudici (presidente Cristina Beretti, estensore Michela Caputo) “eloquenti ed espressivi” sono le movenze e il contegno dei due, ripresi dalle telecamere del casolare di Novellara, la notte del 30 aprile 2021. La madre, in modo fermo e determinato, bloccando con un gesto risoluto il marito, si inoltra sulla carraia con Saman – “per quel minuto che non consente di escludere sia stata lei l’esecutrice materiale”. Il marito, che “si mostra tormentato, assumendo atteggiamenti che danno conto della drammaticità di ciò che sta accadendo, ma che lui resta ad osservare, senza far nulla”. Confermando così “la sua adesione psicologica piena al fatto”.
Quasi sconcertante è la descrizione del nucleo famigliare «certamente chiuso in se stesso, legato a retaggi e tradizioni propri del Paese d’origine e del tutto impermeabile alla realtà esterna» ma che a giudizio della corte a differenza delle ricostruzioni di procura e media «non sarebbe stato fortemente maltrattante e dispotico, con violenze fisiche e morali reiterate e sistematiche, delle quali non v’è traccia nel pregresso vissuto dalla famiglia».
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