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L’Italia svuotata

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Sarah Gainsforth, una ricercatrice che si occupa e scrive di trasformazioni urbane, diseguaglianze sociali, gentrificazione e turismo, pubblica su Il Tascabile la recensione del libro L’Italia Vuota: Viaggio nelle Aree Interne, di Filippo Tantillo.

Il lavoro di Tantillo esplora una parte spesso dimenticata del nostro paese, le zone interne, definite in base alla distanza dai servizi essenziali. Queste aree hanno perso la competizione con le città, dove le politiche di investimento hanno concentrato la ricchezza.

Esiste un’Italia dove i paesi si spopolano, la popolazione invecchia e il paesaggio perde la mano dell’uomo. È un’Italia vuota, che però contiene – molto più di quanto si pensi – il futuro del nostro Paese. Terre alle prese con le trasformazioni climatiche, con i mutamenti dell’economia mondiale, percorse incessantemente da flussi di umani. Dalle rilucenti valli occitane del Piemonte al cuore antico della Sardegna, passando per i colori caldi dell’Appennino centrale, nei paesi sabbiosi delle coste del mar Ionio, sotto il vulcano più grande del continente, tra i migranti del Friuli: un viaggio ai margini del nostro Paese, un Paese molto più grande e vario di come si autorappresenta, alla scoperta di uno spazio ancora aperto al possibile.

Le aree interne coprono il 60% del nostro paese:

Il diario di viaggio di Tantillo, che è stato coordinatore scientifico per la Strategia nazionale aree interne (Snai), si snoda attraverso questa “Italia vuota”, che in verità costituisce il 60% della penisola, facendo emergere i dettagli del paesaggio, i desideri e le difficoltà, i conflitti, le energie e i progetti in corso, per “dare più valore all’intelligenza delle persone che la abitano”. Oggi queste aree, che includono le periferie urbane, sono destinatarie di politiche di tipo compensativo. Ma è il paradigma che va cambiato perché “la crescita delle diseguaglianze sociali e territoriali sta raggiungendo un livello insostenibile per un sistema democratico”, si legge nell’introduzione al libro.

Il racconto di Tantillo, secondo Sarah Gainsforth, restituisce spessore alla realtà, sfatando luoghi comuni e restituendo una visione più completa e storica di queste zone. Tagliate fuori dallo sviluppo, le aree interne sono spopolate e isolate senza più le relazioni economiche, urbanistiche, sociali e culturali che le univano nel passato.

Nelle aree rimaste fuori dalla modernità il mercato non è arrivato. “Quello delle aree interne è uno spazio economico dove non c’è accumulazione, e per questo è marginalizzato”. Il forno di paese non produce più pane di quanto ne consumano i clienti abituali e può capitare, come succede a Tantillo in Molise, di restare senza cena perché il bar ha chiuso e il ristorante è a 20 chilometri. Di che cosa vivono allora queste aree? “Altrove vivono di welfare” mi spiega Tantillo. Fa l’esempio della Finlandia, un paese con una bassissima densità abitativa, dove molte aree sono da sempre spopolate. “Il welfare è un motore economico. Questi territori riescono a creare economie – reddito, lavoro, ricchezza, tutela del territorio – a partire dalla creazione di servizi. Non è un caso che il welfare sia forte nei paesi nordici”.

Sebbene alcune aree in via di desertificazione dipendano dal tasso di immigrazione per il loro futuro, i flussi dei migranti sono percepiti da molti abitanti dell’Italia vuota come una minaccia. Per finire c’è un problema di rappresentanza secondo Tantillo, difficile da affrontare nella pratica, che vorrebbe dare più peso all’uso che alla proprietà:

La rappresentazione degli interessi spesso non corrisponde a quelli della popolazione effettiva. “La domanda che i cittadini si sono posti è stata: come si fa a evitare che quelli che sono andati via, che sono la maggioranza e che risultano residenti, votino per dare via tutto?”, prosegue Tantillo. “È emersa quindi l’ipotesi che la rappresentanza locale potesse essere espressa in una formula che potremmo definire ‘la performance di cittadinanza’. In sostanza: se stai un mese il tuo voto vale uno, se stai due mesi vale due, e via dicendo. Ma il profilo costituzionale di questa operazione è alquanto dubbio” racconta, ridendo. La questione, però, è seria. “Abbiamo coinvolto alcuni dottorandi dell’Università di Ancona e la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Viterbo per approfondire i margini giuridici di questa ipotesi. La finalità ultima è dare più peso all’uso che alla proprietà. Perché il futuro delle aree interne si gioca su questo”. Forse è proprio vero, allora, che il futuro del paese si gioca nelle aree interne.

A proposito di aree interne un focus dell’ISTAT disegna la geografia di questi territori.


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