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Prima delle primarie in Nevada e South Carolina

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A cura di @loveforty

Dopo le abbuffate di Trump e Sanders nel New Hampshire, i due eserciti delle primarie prendono strade diverse: i Democratici si spostano in Nevada, i Repubblicani nel South Carolina. Il prossimo voto è previsto per sabato 20 febbraio (la settimana successiva i due partiti si scambieranno di posto). Nel frattempo, come d’abitudine, alcune cose sono successe nei giorni post voto. Alcune degne di nota, alcune veri e propri fulmini a ciel sereno che potrebbero cambiare notevolmente gli scenari futuri.

Christie e Fiorina gettano la spugna, Rubio “in cerca di autore”
Chris Christie e Carly Fiorina abbandonano la corsa alla nomination, come già si vociferava. I due avevano raccolto un bottino misero in Iowa (1,8% Christie, 1,9% Fiorina), per poi salire di poco nei risultati in New Hampshire (7,4% e 4,1%).
Marco Rubio corre al mercato di riparazione dopo la giornataccia di martedì e, come avevamo pronosticato nell’articolo sulle primarie in New Hampshire, ingaggia l’ex manager della campagna presidenziale di Rand Paul (ritiratosi dopo i caucus in Iowa). Chip Englander sarà senior political adviser per la campagna di Rubio nel Midwest.

A Milwaukee, uno a uno e palla al centro tra i Democratici
Nel sesto dibattito Dem in programma, Clinton e Sanders tornano a battagliare su toni più calmi e pacati rispetto al precedente round, andato in scena nel New Hampshire nei giorni pre-voto. La sensazione di molti è che questo giro si sia chiuso con un sostanziale pareggio, e che nessuno dei due contendenti abbia ferito mortalmente l’avversario.
Secondo Vox, ad ogni modo, Hillary Clinton potrebbe aver trovato la chiave di volta per il prosieguo della sua campagna:

But here’s the point I want to make tonight. I am not a single issue candidate, and I do not believe we live in a single issue country. […] Yes, does Wall Street and big financial interests along with drug companies, insurance companies, big oil, all of it, have too much influence? You’re right. But if we were to stop that tomorrow, we would still have the indifference, the negligence that we saw in Flint. We would still have racism holding people back. We would still have sexism preventing women from getting equal pay. We would still have LGBT people who get married on Saturday and get fired on Monday.

Clinton ha provato a dipingersi come una candidata più completa di Sanders, focalizzata su obiettivi di lungo termine e su più fronti; soprattutto, tenta di far apparire il suo rivale come un candidato di sola protesta, desideroso di abbattere il sistema capitalistico senza però avere un progetto qualificato per governare il paese negli anni a venire.

I conti su delegati e superdelegati
Fatti i calcoli mentre lasciavano il New Hampshire, Clinton e Sanders si sono trovati con lo stesso numero di delegati in tasca, nonostante il roboante 60% con cui Bernie è uscito trionfante dalle urne.
Com’è stato possibile? E cosa succederà da qui in poi? La risposta prova a fornircela il team di Fivethirtyeight: “A differenza dei delegati eletti, i superdelegati non sono legati a nessun candidato, possono cambiare idea quando vogliono e alcuni di essi potrebbero passare dalla parte di Sanders qualora riuscisse ad estendere la sua striscia di vittorie alle urne in più stati”.
Al momento, la conta dei superdelegati sembrerebbe senza storia: 362 a 8 per Hillary. Ma come insegna la campagna del 2008 tra Obama e Clinton (dove l’ex first lady era partita con un netto vantaggio tra i superdelegati), le cose potrebbero cambiare drasticamente da qui alla fine delle votazioni.

La morte di Scalia spariglia le carte
Mentre noi eravamo impegnati a commentare Sanremo, in Texas moriva il giudice della Corte Suprema Antonin Scalia (video), all’età di 79 anni. Se siete in cerca di un ritratto del personaggio, su Slate troverete quello che fa per voi.
Non è una notizia di poco conto in ottica elezioni: Scalia, giudice repubblicano ultraconservatore, lascia un buco nella composizione della Corte (dove ora siedono 4 giudici Dem e 4 Rep) e intorno alla nuova nomina si è già scatenata una battaglia politica tra Repubblicani e Democratici: in mezzo si trova l’amministrazione Obama, che dovrà cercare di sbrogliare la matassa. Il GOP ha sostenuto fin da subito che a nominare il nuovo giudice debba essere il futuro presidente degli USA, e che farà di tutto per impedire a Obama una nomina facile. Ci sono casi storici di nomine andate per le lunghe, che si perdono però nella notte dei tempi ­ (bisogna risalire al diciannovesimo secolo); più recentemente i tempi si sono accorciati, ma il fatto che ci si trovi nell’ultimo anno di mandato di Obama è una carta a favore dei Repubblicani.

Dibattito Repubblicano: ora si fa sul serio
Sabato sera c’è stato anche il nono dibattito repubblicano dall’inizio della campagna. Com’è andato? Cominciamo da questo amichevole scambio di vedute tra Donald Trump e Jeb Bush:

In generale, è stato un tutti contro tutti, e non sono mancati stoccate e colpi bassi non sono mancati, che hanno abbassato il livello del confronto: ad esempio Rubio che accusa Cruz di non sapere lo spagnolo, con Cruz che ribatte in spagnolo, o il giornalista della CBS moderatore del dibattito che viene fischiato per aver tentato di fare fact-checking su una dichiarazione di Cruz (in sottofondo si sentono spesso le risate di John Kasich, che al momento sembra il più divertito della situazione). Se volete saperne di più, Politico fa un riassunto con i momenti salienti del dibattito.
Chi più di tutti è sembrato andare oltre il limiti è stato Donald Trump, che ha attaccato a volte gratuitamente gli altri candidati, e a volte svicolato sulle domande del giornalista della CBS dando risposte evasive. Vedremo nei prossimi giorni se questo inciderà sui sondaggi in South Carolina (Trump ha al momento ancora un ampio margine sugli inseguitori).
Questo riassunto fa parte dello speciale di hookii per le primarie USA.


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