In un articolo pubblicato su Il Tascabile, la ricercatrice Sara Garofalo spiega su quali aspetti basarsi per poter definire scientifica una determinata disciplina – in particolare la psicologia.
Quando si parla di psicologia, “scienza” non è tra le prime parole che salta alla mente; si finisce a pensare più probabilmente a un lettino da seduta di psicoterapia. Questa associazione si deve all’impatto, sull’immaginario collettivo, di Sigmund Freud, che ha avuto il merito di accendere un faro su alcuni meccanismi della mente umana, proponendo teorie che hanno influenzato enormemente tutto il Novecento. Freud viene però più comunemente annoverato tra i filosofi che tra gli scienziati perché, pur essendo un medico, le sue osservazioni sui processi psichici non sono ritenute falsificabili. Secondo la definizione di Karl Popper – tra i primi filosofi della scienza a cercare dei principi cardine per definire un’ipotesi come scientifica o meno – non può essere considerata scientifica un’ipotesi che non possa essere smentita attraverso nuove prove. In altre parole, se non è possibile dimostrare che Es, Io e Super-Io (le tre istanze intrapsichiche che Freud pone alla base del funzionamento della mente umana) non esistono, la loro esistenza non può essere ritenuta un’ipotesi scientifica.
L’autrice ripecorre brevemente la tassonomia delle discipline scientifiche, proponendo la definzione di cultura epistemica di Karin Knorr Cetina, per cui le discipline sono caratterizzate da diversi standard che regolano ciò che può essere considerata evidenza e cosa no, come possono venire utilizzate tali evidenze, cosa costituisce una teoria, ecc… Dopo un lungo excursus sulle caratteristiche del metodo scientifico, si sofferma poi sulla psicologia, un ambito in cui il numero e la varietà di variabili in gioco rendono il controllo sperimentale difficoltoso:
Molti fenomeni fisici sono stati compresi al punto da poter essere descritti attraverso precise regole matematiche (non a caso, i razzi sulla luna ci sono arrivati con successo più di una volta). Se, però, ci spostiamo verso la fisica quantistica e i processi biologici, fino ad arrivare al comportamento umano, la precisione matematica inizia man mano a scemare e a non essere più in grado di descrivere perfettamente quello che si osserva.
Se, ad esempio, vogliamo provare a prevedere un comportamento umano, scegliendone uno anche apparentemente semplicissimo come la scelta tra due prodotti disposti su uno scaffale del supermercato, i giochi già si complicano enormemente. Non tanto per la complessità del comportamento in sé, ma proprio per la miriade di variabili che possono incidere sulla decisione finale di una persona – in questo caso, oltre alle scelte alimentari: di che umore è, quanta fame o sete ha, da dove viene, dove deve andare o che cosa le è successo durante la giornata. Ciascuno di questi aspetti è inevitabilmente legato ad una serie di emozioni, sensazioni, desideri, esperienze ed obiettivi che complicano ulteriormente il quadro.
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