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Sasha, fuggito dall’inferno a 12 anni. È la sua storia che ora inchioda lo zar

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Nello Scavo su Avvenire racconta la vicenda del dodicenne ucraino Sasha che, dopo essere stato separato dalla madre e rapito dai Russi, è riuscito a ritornare a casa. I due erano stati evacuati da Mariupol e condotti in un campo di filtrazione: a quel punto furono separati, senza potersi nemmeno salutare un’ultima volta. Subito prima che gli fosse negato l’accesso a internet, Sasha riuscì a contattare su Facebook la nonna, che all’epoca viveva all’estero: lei, dopo aver attraversato Polonia, Lituania, Lettonia, Russia e la regione occupata di Donetsk, ha identificato e liberato il nipote, con modalità che non possono essere diffuse per ragioni di sicurezza (la madre, su cui non si hanno notizie dall’estate scorsa, è verosimilmente ancora in Russia).

Questa è solo una delle tante storie simili in questa guerra: secondo un portale dedicato ai bambini ucraini scomparsi, a fronte di alcuni che, come Sasha, sono riusciti a fuggire dalla Russia, più di 16 mila mancano ancora all’appello.

Non sono semplicemente “spariti”. Per dirla con un investigatore dell’Aja: «Sono stati fatti sparire». La differenza è tutta qui. E Vladimir Putin lo sa, al punto da aver firmato i decreti che autorizzano a separare madri dai figli, per rendere adottabili i bambini e intanto «rieducare» gli scavezzacollo come Sasha, magari affidandoli ai macellai ceceni, come dimostrano foto e video pubblicati anche da Avvenire.

È al coraggio di ragazzini come Sasha che si deve il mandato di cattura per Vladimir Putin. Incrociare le testimonianze, raccogliere riscontri, verificare ogni virgola del racconto senza dover costringere i bambini ritrovati alla tortura della memoria. Sono 308 quelli recuperati alle loro famiglie. Un lavoro che ha richiesto tempo, ma che ha fornito elementi decisivi nell’indagine del procuratore internazionale Karim Khan.


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