BBC illustra il ritrovamento di un raro colorante, ricavato dalle ghiandole di lumache marine, che veniva utilizzato per tingere le vesti dell’èlite romana quasi 2000 anni fa: la porpora tiria.
In un club del cricket a Carlisle si sta scavando un bagno romano, venuto alla luce nel 2017, nel quale sono stati trovati 2000 oggetti, tra i quali ceramiche, armi, monete e pietre semipreziose. Il pigmento ritrovato, una rara tintura viola chiamata porpora tiria sarebbe stata usata per tingere gli abiti delle figure della corte imperiale e delle più alte sfere della società.
Di questo prezioso pigmento, che valeva più dell’oro, parla anche un articolo di Storica, sul sito del National Geographic:
Al di là dei vari racconti mitologici tesi a spiegarne l’origine, la tintura giocò un ruolo fondamentale nella storia dei fenici. Lo stesso termine “fenicio”, usato dai greci per indicare alcune città-stato sorte lungo la costa che oggi appartiene a Libano, Siria e nord di Israele – come l’isola di Arwad, Biblo, Beirut, Sidone, Sarepta e Tiro –, riguardava sicuramente la porpora. In greco phoinix poteva pure riferirsi a un colore rosso porpora, e il fatto che fosse attribuito alle città fenicie sarebbe una voluta allusione alla produzione dei tessuti porpora che consacrò la loro fama.
Servivano migliaia di molluschi e molto lavoro per produrla, come racconta Plinio il Vecchio:
Nella sua Naturalis Historia del I secolo d.C. Plinio il Vecchio fornisce una spiegazione alquanto dettagliata circa la preparazione della tintura. La materia prima era un liquido vischioso e opaco ottenuto dalla ghiandola mucosa di due tipi di molluschi, il Murex trunculus e il Murex brandaris. Il primo si usava per ottenere un tipo di porpora blu conosciuta come “blu reale”, mentre il secondo per la “porpora di Tiro”. Erano entrambi indelebili, o meglio non decoloravano facilmente, qualità rara tra le tinture antiche che rendeva queste particolarmente apprezzate. La prima fase del processo consisteva nel raccogliere enormi quantità di molluschi. Poiché entrambe le specie sono carnivore, si immergevano canestri di sparto (una graminacea) con conchiglie e avanzi di pesce come esca. Una volta raccolto, il murice veniva tenuto in vita in ampi contenitori o stagni artificiali pieni di acqua di mare finché se ne fosse ottenuta una quantità sufficiente. Quindi si procedeva a estrarre la ghiandola mucosa, che contiene i componenti chimici necessari per la tintura. In genere agli esemplari grandi si estraevano le ghiandole con uno strumento speciale in ferro o in bronzo, mentre di quelli più piccoli si pestava il corpo, la ghiandola e la conchiglia sino a trasformare il tutto in un ammasso pastoso.
Il frammento di porpora tiria, grande quanto una pallina da ping pong, è stato trovato nel Carlisle Cricket Club durante gli scavi annuali. Si stima che per ottenere meno di 2 grammi di pigmento fossero necessarie circa 12.000 lumache.
Alcune delle principali applicazioni del pigmento erano la tintura dell’abbigliamento dell’alta società romana (senatori, imperatori e figure di potere) e dei tessuti utilizzati per gli abiti cerimoniali, la colorazione di tessuti pregiati di lana e di seta, la decorazione di oggetti, tendaggi e arazzi come anche si pensava potesse avere proprietà medicinali nonché simboliche.
Scienze Notizie illustra l’ipotesi che questo reperto di porpora tiria sia legato alla visita dell’imperatore Settimio Severo al Vallo di Adriano.
Sebbene siano stati trovati molti reperti di porpora tiria intorno al Mediterraneo, è incredibilmente raro trovarne nel Regno Unito, che rappresentava il tratto più settentrionale dell’Impero Romano. Questo ritrovamento è l’unico esempio conosciuto nell’Europa settentrionale, forse l’unico esempio di un campione solido del pigmento inutilizzato in tutto l’Impero Romano. Frank Giecco, Direttore Tecnico presso Wardell Armstrong, ha dichiarato che Settimio Severo, imperatore romano dal 193 al 211 d.C., nato nell’attuale Libia, visitò la provincia romana di Britannia nel 208 d.C. con l’obiettivo di rafforzare il Vallo di Adriano, la fortificazione che segnava il confine nord-ovest dell’Impero Romano. È fortemente sospettato che il grumo di porpora tiria trovato a Carlisle, a breve distanza dal Vallo di Adriano, abbia avuto un legame con questa storica visita.
Grazie a una integrazione di Arsenios possiamo aggiungere qualche dettaglio in più sulla mitologica scoperta della porpora:
Esiste anche una spiegazione mitologica della scoperta della porpora. Se ne può trovare il racconto, tra gli altri, nell’Onomasticon di Giulio Polluce. Quest’opera è un dizionario greco organizzato per temi, e ovviamente, essendo dedicato all’imperatore romano Commodo, si sofferma ampiamente sulla porpora, simbolo del potere. Non è nemmeno casuale si parli di Eracle, che era la divinità tutelare di Commodo stesso. Il raccontino interrompe lunghi elenchi di nomi e sinonimi dedicati in questo punto alla regalità e agli aggettivi per definire un buono o cattivo regnante, il tutto – dice Polluce – per non stancare il suo allievo Commodo, di cui era insegnante di retorica greca:
Per darti di nuovo un po’ di tregua, così che non ti affatichi sempre con lo stesso metodo di insegnamento, racconterò della porpora, come fu scoperta in principio. Gli abitanti di Tiro dicono che Eracle si innamorò di una ninfa del luogo, Tiro era il suo nome. Seguiva Eracle anche un cane, secondo appunto l’antica consuetudine: sai infatti che i cani accompagnano gli eroi persino nelle assemblee. Allora il cane di Eracle, avendo visto una conchiglia di porpora che si abbarbicava tra le rocce, dal momento che fuoriusciva il corpo [del mollusco], gli diede un morso e se ne nutrì. Il pigmento quindi tinse di porpora le labbra del cane macchiandole del color del sangue. Quando l’eroe arrivò dalla fanciulla, questa fu contenta nel vedere le labbra del cane che risplendevano di un’inusuale tintura, e disse che Eracle le si dovesse avvicinare in futuro se non le avesse portato una veste di colore più intenso di quello delle labbra del cane. Eracle allora trovò la creatura, raccolse il pigmento e portò il dono alla fanciulla, diventando il primo scopritore, secondo il racconto dei Tirii, del pigmento fenicio.
Polluce inserisce anche quello che lui dice “il modo in cui i Tiri cacciano questo animale (il murice)”. Quindi non c’è solo in Plinio la descrizione.
Poll. 1.47–49 Bethe
https://archive.org/details/pollucisonomasti01polluoft/page/14/mode/2up
Il testo nella più recente edizione come rimando:
– Pollux, Onomasticon, ed. E. Bethe, I, Leipzig 1900.
https://en.wikipedia.org/wiki/Julius_Pollux
Polluce inserisce anche quello che lui dice “il modo in cui i Tiri cacciano questo animale (il murice)”. Quindi non c’è solo in Plinio la descrizione.
(I tiri) intrecciano una fune molto lunga, spessa e resistente, tale da poter resistere in mare. Da essa fanno partire continue, a intervalli regolari, delle trappole simili a campanelle, fatte intrecciando cordini o vimini. L’ingresso di queste trappole è irregolare, poiché lasciano appositamente che le estremità dei cordini o dei vimini sporgano intorno alle bocche delle trappole, così da cedere facilmente a chi entra e separarsi, ma non consentono il percorso all’indietro e il ritorno a ciò che è passato. I pescatori di porpora, attirando le prede con queste trappole, le calano tra gli scogli, unendo la cordicella a un qualche pezzo di sughero per tenere sollevata la preda. Aspettano una notte [o “una sola notte”?], e quando generalmente fa giorno, tirano su le trappole, piene di animali. Poi, dopo aver rotto la conchiglia, mettono la carne sotto sale* in essa, e la conservano per la tintura. Quando vogliono usarla, mondano il miscuglio con acqua e fanno bollire in un pentolone la preda marina. Il sangue, quando messo sul fuoco, si espande e “sboccia”: ora diventa chiaro, ora di un blu, oppure prende un altro colore ancora. Qualsiasi cosa venga in contatto con questo sangue cambia colore in quello di questo. La tintura di porpora si esalta quando colpita dalla luce del sole, e il raggio [di sole] la fa prendere un colore acceso.
*il verbo significa conservare sotto sale, mettere sotto sale o anche mummificare.
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