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I musulmani delle periferie d’Europa

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Su suggerimento di @Finalmente_D e @loveforty

Le ricerche sui responsabili degli attacchi di Parigi si sono concentrate da subito in Belgio, a Bruxelles, nel quartiere di Molenbeek: perché dunque il Belgio, e in particolare la sua capitale Bruxelles, si è trasformata in una delle culle del terrorismo islamico in Europa? La comunità musulmana è molto grande e il numero di immigrati elevato, ma queste caratteristiche appartengono anche ad altre nazioni europee che tuttavia non hanno prodotto altrettanti foreign fighters.

Vi proponiamo tre articoli che cercano di inquadrare la situazione.
Il primo, in inglese da The New Yorker, guarda al rapporto fra chi parte per combattere con l’ISIS e i conoscenti che rimangono a casa:

“If someone is trying to help someone to come back, is he supporting a member of ISIS, or is he actually trying to help a friend that is in need?”

Il secondo, da Rivistastudio,  si sofferma sulle caratteristiche dell’immigrazione in Belgio e sul successo di “Sharia4Belgium”, un gruppo radicale salafita originariamente nato, come suggerisce il nome, con l’obiettivo di esportare la Sharia, o legge islamica, in Belgio.

«Il Belgio è un Paese piccolo con grossi problemi. È persino andato avanti senza un governo per 541 giorni, tra il 2010 e il 2011. La sua società, profondamente divisa tra fiamminghi e francofoni, ha seri problemi a integrare i nuovi arrivati. Gli immigrati di seconda e terza generazione hanno poche possibilità di migliorare la loro condizione socio-economica. Come se non bastasse, la sicurezza della città di Bruxelles è un problema a sé stante: con una popolazione di 1,3 milioni, la polizia locale è divisa in sei corpi distinti, sparpagliati in 19 distretti. In queste condizioni condividere informazioni d’intelligence è molto complicato».

Infine l’ultimo pezzo, da gli Stati generali,  affronta il malessere e l’infelicità, il senso di costrizione degli arabi di questa generazione: sia per chi rimane in patria sia per chi emigra la sensazione è quella di non avere possibilità di scelta.

A voi manca un elemento chiave per capire la situazione: il discorso sociale. La matrice religiosa è forte, di sicuro orienta la leadership. Ma state sicuri che è la questione sociale quella che riesce, più di tutto, ad affascinare una generazione intera. Perché di redistribuir  ricchezze, nazionalizzare i proventi della vendita delle risorse, dare servizi di base alla popolazione civile parlano solo loro. I discorsi che io, da giovane di sinistra, facevo all’università sono adesso diventata un’agenda in mano ad altri, per il nostro fallimento e per la vostra incapacità di sostenere le forze progressiste, in Siria come altrove. Guardo il mio Paese morire, attraverso una finestra di Malmoe, mi piove dentro. Sento che si prepara la ‘normalizzazione’ di Assad, ponendo l’eterna trappola a quelli come me: o accetti di vivere in una dittatura o sarai in balia del caos, del fondamentalismo e della violenza. Non doveva andare così, non è possibile che sia stata questa l’unica vita possibile.

 

Immagine By Uppploader (Own work) [CC BY-SA 3.0], via Wikimedia Commons


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