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100 Anni del New Yorker in mostra

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Il Giornale dell’Arte presenta la mostra A Century of The New Yorker che alla New York Public Library celebra i 100 anni della storica rivista.
L’esposizione si basa sul contenuto degli archivi del New Yorker e include manoscritti, corrispondenze, vignette iconiche e documenti privati di collaboratori storici. Fondata da Harold Ross e Jane Grant, la rivista ha rivoluzionato il giornalismo con uno stile unico e un approccio rigoroso, influenzando la cultura e la società americana e contribuendo al dibattito su argomenti come guerra, violenza, questioni razziali e movimento ambientalista. La mostra permette ai visitatori di esplorare le dinamiche editoriali della testata, incluso il lavoro di fact-checking e le relazioni con gli artisti.

…i visitatori possono ammirare una vasta gamma di materiali unici, che spaziano dalle prime edizioni a lettere e fotografie inedite, passando per i documenti privati dei redattori e dei collaboratori storici. Celebrazione del potere della parola, dell’arte e del pensiero critico, il percorso è un’opportunità per esplorare il contribuito della storica testata nel plasmare il nostro modo di vedere il mondo oggi, un viaggio che è tanto stimolante quanto educativo per tutti coloro che apprezzano il giornalismo, la letteratura e l’arte.

Amelia Nash per PrintMag descrive questa mostra in un suo articolo, raccontandoci la sua visita.

There is a moment, standing before the delicate typewritten pages of Truman Capote’s In Cold Blood, when the weight of The New Yorker’s century-long influence becomes unmistakable. In the hushed grandeur of The New York Public Library’s exhibition hall, A Century of The New Yorker unfurls the magazine’s legacy with an assured grace, offering visitors a rare glimpse into the evolving ethos of America’s most enduring literary and artistic institution.

La mostra ripercorre la storia del New Yorker, dagli inizi negli anni ’20 fino all’era digitale, con documenti dagli archivi della NYPL e della stessa rivista.

This landmark exhibition charts the magazine’s evolution from the roaring twenties to the digital age, drawing from NYPL’s vast archives and supplemented by treasures from The New Yorker itself. Early issues and mock-ups, iconic covers, and internal correspondences offer a behind-the-scenes view of how a weekly humor magazine became a bastion of investigative journalism, sharp cultural criticism, and era-defining storytelling.

Tra gli oggetti esposti ci sono il manoscritto originale di Refugee Blues di W.H. Auden (1939), il dattiloscritto di Eichmann in Jerusalem di Hannah Arendt (1963) e la corrispondenza tra William Shawn e John Hersey per la pubblicazione di Hiroshima (1946). La mostra include elementi sorprendenti, come una lista scherzosa di autori compilata da Dorothy Parker e una copia annotata da Vladimir Nabokov di 55 Short Stories from The New Yorker. L’ultima sezione si concentra sulla presenza contemporanea di The New Yorker, con elementi interattivi, come la famosa copertina Say Their Names di Kadir Nelson.

The Conversation ci parla dei cento anni del New Yorker concentrandosi sulle copertine:

The magazine’s strategy for success has been to employ a succession of brilliant art editors (just four in 100 years – somewhat unique in magazine publishing) who understand how illustration, in the right hands, can offer appeal, surprise, entertainment and imaginative freedom to invent what French poster artist Cassandre called “a visual incident”. Posters and magazine covers have a similar task: both vie to grab the attention of a public subjected to evermore intrusive image assault. From simple street hoardings and news vendors in 1925, to broadcast then digital media today, the changes over the last 100 years have been immense and profound. This audio-visual bombardment of words, images, sound and movement simply did not exist back then. This golden age of the printed poster and magazine cover appears now to belong another world – so how can preservation of these ideals be viable in a 21st century weekly magazine?

The beauty of the New Yorker cover lies in not equating it with a written description, but rather in prompting an emotional response to what it is to be alive in that moment, whether good times or bad. That’s a pretty wonderful objective and guiding principle for a weekly publication.

 


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