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Il salotto e il magazzino

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Ripercorrendo i fatti dietro lo sciopero dei dipendenti dello stabilimento CEVA di Stradella e quelli dietro l’inchiesta su Grafica Veneta, Silvia Gola indaga su Il Tascabile le condizioni lavorative nel mondo dell’editoria, riflettendo, da un lato, sui discorsi, spesso retorici, sul libro come mezzo attraverso il quale diffondere conoscenza e, dall’altro, sul silenzio del mondo della cultura intorno alla realtà materiale alla base della sua realizzazione.

Luciano Bianciardi, nel 1957, scriveva nel Lavoro culturale: “Tutti sanno cos’è un libro: un certo numero di fogli di carta stampata cuciti insieme a uno dei margini, e con una copertina che reca il titolo e il nome dell’autore”. Attraverso e contro Bianciardi mi sento di dire che invece non tutti sanno che un libro è innanzitutto un certo numero di fogli impaginati con una copertina.

Tutto il nostro contesto socio-culturale da secoli, davanti a un libro, ci fa anzi sospirare che esso è molto di più che sé stesso o, meglio, che non è sé stesso come oggetto materico ma, piuttosto, veicolo dell’emancipazione personale, fuoriuscita dallo stato di minorità, simulacro della cultura alta. Basterebbe guardare le classifiche settimanali dei libri più venduti in Italia per capire che la definizione di Bianciardi – materiale, minima e denotativa – è ancora oggi corretta: un libro può essere molto ed essere investito di personalissimi risvolti morali, ma collettivamente esso è prima di tutto un oggetto derivante da un processo produttivo in più fasi e che abbisogna di molte professionalità diverse agite da forza-lavoro a vari livelli.

Lo stabilimento CEVA di Stradella è il più grande magazzino di libri e giornali d’Italia, capace di contenere fino a 100 milioni di pezzi. E’ gestito da una joint-venture fra CEVA, azienda internazionale di logistica, e Messaggerie Libri, una delle poche e grandi e realtà di distribuzione libraria in Italia.

A inizio giugno 2021 i lavoratori insieme al sindacato di base Si Cobas hanno iniziato uno sciopero per rivendicazioni inevase da circa due anni (bloccando di fatto una grandissima parte della distribuzione libraria nella Penisola), e contestualmente sono iniziati gli scontri e i tentativi di sgombero. Ma lo stabilimento di Stradella non è nuovo a questo tipo di vicende. È  del 2017, per esempio, la vicenda dei “contratti romeni”: l’Ispettorato del Lavoro, dopo un articolo-denuncia di Repubblica, trovò che nello stabilimento di Stradella 70 lavoratori erano stati assunti con contratti romeni – condizione resa possibile dal ricorso a catene potenzialmente infinite di agenzie interinali (una delle quali, in questo caso, aveva sede a Bucarest) – e pagati in (poca) valuta romena: per un mese di lavoro, il compenso era di 1400 leu, poco più di 300 euro, e zero contributi.

L’autrice si sposta poi a riassumere l’inchiesta intorno a Grafica Veneta, e le reazioni, a sue dire scarse, scatenate nel mondo della cultura

I guai di Grafica Veneta iniziano a cavallo tra maggio e giugno 2020 dopo che alcuni cittadini pakistani, dipendenti di una ditta in appalto (la trentina BM Service) che procurava personale a Grafica Veneta, furono trovati legati e feriti ai bordi di una strada provinciale. Cos’era successo? Il 25 maggio 2020, al ritorno nelle loro abitazioni, gli operai pakistani avevano trovato ad attenderli squadre di picchiatori pronti a fare il loro sporco lavoro: il casus belli scaturiva dal loro essersi rivolti al sindacato.


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