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Salute mentale, depressione e media: le voci assenti di chi è direttamente coinvolto

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Giusi Palomba su Valigia Blu riflette sul racconto della salute mentale che sembra non essere più un tabù e si chiede in che modo venga affrontato questo tema.

Sembra quasi che negli ultimi anni il racconto della salute mentale abbia perso un po’ dello stigma che le aleggiava intorno. È un buon segno, ma fino a che punto? E in cosa si sta trasformando questo racconto?

Questa nuova consapevolezza corrisponde realmente a un miglioramento delle condizioni delle persone che stanno male?

La difficoltà di dare risposte è evidente, oltre che costellata di ostacoli. C’è una considerevole assenza delle voci delle persone direttamente coinvolte nelle questioni di salute mentale, quelle di persone sofferenti, portatrici di una idea di malattia come sintomo di qualcosa di più grande e collettivo di un problema individuale. Questa è un’idea continuamente rigettata, conviene di più dare spazio a soluzioni immediate, che curano il singolo e annullano il sintomo, che non coinvolgono l’ambiente sociale in cui le persone soffrono, che dipingono queste come meno adatte e più deboli rispetto al resto.

La depressione porta spesso a una chiusura dovuta alla difficoltà di raccontarsi. Spesso le persone che soffrono rinunciano ad aprirsi, dopo molti tentativi che non hanno trovato un ascolto attivo in grado di aiutarle a risolvere il problema.

Le persone depresse a volte smettono di raccontare il proprio dolore dopo averci provato per tantissimo tempo, in tanti modi, lanciando segnali, consciamente o inconsciamente, a volte persino col silenzio, e dopo aver riscontrato una amara verità: difficilmente hanno trovato terreno per un vero ascolto, o persone in grado di riconoscere e affrontare il problema, le radici primarie del malessere. Ovviamente non senza motivo.

Mentre cinema, musica e letteratura ci offrono storie che ci paiono accettabili di geni incompresi, gioventù in crisi e talenti sprecati, siamo meno propensi ad accogliere le esperienze di sofferenza di chi ci sta vicino.

Le manifestazioni accettabili della sofferenza psichica sono quelle che possono offrirci il cinema, la musica, la letteratura, con un tocco di glamour e romanticismo. Geni incompresi, gioventù bruciata, persone dotate di incredibile bellezza e talento che sembrano volerli sprecare per un capriccio incomprensibile. Possiamo gestire la rappresentazione artistica, ripulita magari della realtà anche disgustosa della depressione, ma molto meno i pensieri suicidari dei nostri amici più cari. Possiamo contemporaneamente affermare che l’arte, la rappresentazione in genere, possa diventare spesso un appiglio, uno strumento, una forma di sfogo, ma anche di comunicazione più efficace di molte altre.

(NdM: questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2022, all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Lo riproproniamo oggi, con una visibilità migliore, sicuri di fare una cosa gradita a segnalatore e commentatori.)


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