La giornalista Charlotte Matteini scrive di come si è accorta, oltre la soglia dei trent’anni, di avere un caso di autismo non diagnosticato. Da sempre si sentiva “un pesce fuor d’acqua”, con molti problemi relazionali. Dopo un trauma personale, ha intrapreso un percorso di analisi (anche “grazie” alla pausa forzata imposta dal lockdown), e nell’arco di qualche mese ha prima cominciato a sospettare, e poi ottenuto la certezza, di avere una sindrome di Asperger.
Per quasi 33 anni ho vissuto senza sapere quale fosse l’origine di tutti i miei problemi, l’origine di quel costante male di vivere che mi ha accompagnato durante l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta, che mi ha reso la peggior nemica di me stessa. “Male di vivere” non è un’espressione casuale, è quella che meglio può descrivere la continua e pervasiva sensazione che ho provato negli anni, anni alla ricerca del mio posto del mondo, anni a pormi domande senza riuscire a trovare una risposta. (…)
La “diagnosi” per me è stata un sollievo. Mi sono sentita rinascere. Non sono sbagliata, sono diversa. E la diversità è una ricchezza. Ho difficoltà sociali, pesanti, che mi sono trascinata per tutta la vita con la convinzione di essere sbagliata, di essere inferiore agli altri. E invece non sono inferiore, sono una persona che è riuscita a farsi strada in un mondo che tutto era fuorché a sua misura, soffrendo come non auguro a nessuno.
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