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Chip, ora è la Cina a ricattare gli Usa

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Mentre siamo distratti dai continui annunci di nuovi AI tools che introducono perlopiù miglioramenti incrementali, le aziende di AI assoldano ex capi di Stato (ma assicurano che non li useranno per fare lobbying sui governi, ci mancherebbe), e la partita dei chip – molto meno glamour delle risposte dei chatbot e dei video di Sora 2 di celebrità morte – diventa un parapiglia, il cui esito dovrebbe determinare gli sviluppi non solo dell’industria AI e tech, ma anche degli equilibri mondiali.

Pechino sta infatti preparando il terreno negoziale in vista dell’atteso incontro tra il presidente Trump e il leader cinese Xi Jinping. I chip sono al centro di questo scontro, anche se non sono l’unico terreno di battaglia. Indubbiamente però il loro ruolo centrale nell’intelligenza artificiale, nelle tecnologie militari e in altri settori economici li ha messi al centro delle tensioni tra le due superpotenze mondiali, già impegnate da mesi in controversi negoziati su dazi e tecnologia.

Il mese scorso, l’autorità antitrust cinese aveva dichiarato che secondo un’indagine preliminare Nvidia avrebbe violato la legge antimonopolio del Paese in relazione all’acquisizione della società israeliana Mellanox Technologies, completata nel 2020. In realtà Nvidia sembra essersi trovata in mezzo al braccio di ferro tra Usa e Cina che ha portato quest’ultima ad accelerare gli sforzi per l’indipendenza tecnologica. L’indagine preliminare cinese infatti nasce poco dopo il dicembre 2024, quando l’amministrazione Biden aveva dato un ulteriore giro di vite sull’export hi-tech verso la Cina – impedendo ai produttori di chip di memoria avanzati (usati nei sistemi di AI) di spedire i propri prodotti in Cina senza l’autorizzazione del Dipartimento del Commercio.

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