Su suggerimento e a cura di @Lowresolution
Nel 2030 il sistema pensionistico italiano potrebbe implodere, per l’effetto combinato dell’impatto dell’ondata della generazione degli anni ’60 che andrà in pensione in quegli anni e della persistente crisi economica per cui PIL e occupazione non crescono e i versamenti contributivi restano al minimo.
È uno scenario realistico, secondo le proiezioni che La Stampa ha analizzato in un lungo articolo assieme a diversi esperti, incrociando previsioni demografiche e studi sulla spesa previdenziale. Il 2030 non è una data a caso: è l’anno in cui andranno in pensione i figli del baby boom, cioè i nati nel biennio 1964-65, quando l’Italia nel pieno miracolo economico partorì oltre un milione di bambini; bambini che al compimento dei 66 e 67 anni busseranno alla porta dell’Inps. Un picco di richieste che si tradurrà in uno choc, soprattutto se la crescita economica rimarrà modesta. Il periodo più critico arriva fino al 2035. La percentuale di pensionati rispetto ai lavoratori passerà dal 37% di oggi al 65% nel 2040 (da 1 su 3 a 2 su 3). Se poi le casse dell’Inps reggeranno, anno dopo anno la situazione dovrebbe migliorare per stabilizzarsi tra il 2048 e il 2060.
Forse è venuto il momento di ripensare completamente il sistema guardando alla realtà socio-economica. Il Paese sconta una storia nota, di privilegi e pensioni usate come arma politica, che ancora pesa sui conti e trasferisce sui più giovani un carico insopportabile. Bisogna inventarsi un nuovo welfare. La gestione della terza età si deve trasformare in una delle tante funzioni pubbliche, come sanità e istruzione.
Immagine da Wikimedia Commons
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