Su Doppiozero, la recensione a firma di Massimo Marino del libro Dalle macerie. Cronache sul fronte meridionale, una raccolta – curata da Salvatore Romeo – di saggi e articoli sulla città di Taranto scritti dal compianto scrittore e giornalista tarantino Alessandro Leogrande, morto a Roma a soli quarant’anni nel novembre del 2017.
Lo snodo della sua indagine sono gli anni novanta, che decretano il fallimento dell’industria di stato e la privatizzazione dell’Ilva, rivelano una grave crisi occupazionale, portano a maturazione una deriva urbanistica e processi di impoverimento e disgregazione generali. Sono gli stessi tempi che vedono salire al potere cittadino, parallelamente all’ascesa di Bossi e Berlusconi in Italia, il populista ex picchiatore neofascista Giancarlo Cito. Sono gli anni dell’esplosione definitiva di un agglomerato urbano sempre costretto tra confini angusti: fino a dopo l’Unità d’Italia in quelli dell’isola, la parte più antica; nel novecento nel Borgo, disteso tra l’Arsenale che toglie a Taranto la vista del Mar Piccolo, serrato dietro un lungo muraglione che protegge un’ampia zona della Marina Militare, e le ciminiere dell’Italsider, poi Ilva, a nord. Nel 1975, in coincidenza con i progetti di raddoppio del Centro Siderurgico, erano iniziati i crolli di palazzi malsani della città vecchia, con il conseguente abbandono di gran parte dei suoi tradizionali abitanti, deportati nelle nuove periferie, Paolo VI e Salinella, zone di costruzioni prive di servizi, di punti di socialità, di speranze. Una “città groviera”, come la definisce il nostro osservatore, con lunghe file di cartelli di “vendesi” o “affittasi” nello stesso Borgo umbertino, con la città vecchia ridotta a un fantasma che ogni tanto qualcuno sogna di rivitalizzare.
Immagine CC0.
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