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☆ Altri pensieri sul terrorismo [EN, FR, IT]

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Su suggerimento di @paolocrosetto, @Neoviolence, @Roberto il Guiscardo, @Oppenheimer_ia ed @Ergosfera

A due settimane dagli attentati di Bruxelles quello del terrorismo è un tema ancora molto caldo; raggruppiamo quindi diverse segnalazioni sull’argomento.

Lo storico israeliano Yuval Noah Harari scrive sul Guardian un articolo in cui compara il terrorismo al teatro: i gruppi terroristici hanno talmente meno forza e risorse degli stati che vorrebbero combattere da non poter far altro che mettere in scena piccoli attentati dalle conseguenze materiali minime (se paragonate a qualunque battaglia convenzionale) ma dall’alto valore simbolico, in quanto fanno venire meno la sicurezza a cui i governi occidentali hanno abituato i propri cittadini e che è diventata una caratteristica centrale delle nostre democrazie. Interessante la metafora aggiunta nella traduzione francese che BibliObs fa di questo articolo: i terroristi sarebbero come una mosca che vuole distruggere un negozio di porcellana. Contando sulle sole loro forze, potrebbero al massimo ammaccare qualche tazza. Ma ronzando insistentemente nelle orecchie di un elefante, possono farlo arrabbiare al punto che sarà lui a distruggere il negozio per loro.

In questa sceneggiata sembra fare la sua parte la stampa del nostro paese, che sta cercando quale potrebbe essere la “Molenbeek italiana”. La formula è semplice: si va in un quartiere percepito come periferico, si riprendono degli stranieri che camminano per strada, si intervistano degli italiani a caso, si fanno paragoni con le banlieue francesi e si accompagna il tutto con musichette apocalittico-arabeggianti. Il risultato è un concentrato di paranoia che non ha alcuna aderenza con la realtà, ma che funziona alla perfezione per costruire l’immaginario di “califfati invisibili” che si annidano nelle nostre città. Ne scrive Leonardo Bianchi su Vice Italia.

Anche gli anti-europeisti però temono che questo clima possa essere sfruttato contro di loro: Luca Bianco su L’Intellettuale Dissidente ipotizza che il tema del “nemico comune” possa essere strumentalizzato in favore di una maggiore integrazione europea, apparentemente giunta ad un punto morto negli ultimi anni di crisi economica.

In Kuwait la giornalista Nadine Al-Budair invita i suoi correligionari a immedesimarsi nei popoli occidentali per capire le reazioni agli attentati terroristici e per invitarli a fare autocritica, mentre sul New Yorker, George Packer cerca di capire come mai la Tunisia, dopo essere stata culla della primavera araba, sia diventata il primo paese esportatore di jihadisti.

Infine il giornalista freelance Brian Frydenborg spiega perché dovremmo usare meno la parola terrorismo, ormai inflazionata: non tutti i cosiddetti terroristi lo sono effettivamente, perché ciò che identifica il terrorismo non è l’azione di per sé, ma i suoi scopi

 

Immagine da Flickr


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