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Arrederei ma non posso

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Su suggerimento di @AleMeis.

Rivista Studio propone una storia intimista, con molte suggestioni e link, sull’arredare una casa oggi. Non è solo un articolo sul comprare mobili “ai tempi dell’Ikea”, ma sul nostro pensiero intorno all’arredamento e su come questo riguarda i tempi che viviamo.

Scrivo a M che forse il problema è quello di una classe che, riprendendo la definizione del New Republic, è fatta da «young educated persons», tendenzialmente piuttosto poor, ma ha aspirazioni da «young educated rich persons». M risponde: «L’aspirazione per me arriva sempre dai ricordi, dalle case degli amici di famiglia che guardavo da piccolo, da tutta una serie di maddalene tristissime ma inscalfibili. E certo, quel rich di cui parli è centrale». V mi dice: «Secondo me c’entra anche una cosa diversa, e cioè che noi ci rapportiamo al mondo come fosse un profilo Facebook: vogliamo che i nostri vestiti, i nostri gusti musicali, la nostra casa rappresentino in modo brillante e speciale la nostra “personalità unica” (brr). Non so i tuoi genitori, ma i miei se ne fregavano. La casa doveva essere prima di tutto accogliente e funzionale, e magari bella; i vestiti pure. E alla fine, naturalmente, questo finiva per rispecchiare davvero chi erano molto più che il nostro “carefully curated living”».

Immagine da flickr.


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