Su suggerimento e a cura di @Yoghi.
In questi giorni sembra avviarsi a risoluzione il dossier di quattro piccole banche italiane da lungo tempo in amministrazione controllata.
Comincia ad affermarsi anche in Italia il principio del “bail in” (di cui avevamo parlato già a luglio): anche azionisti, creditori e in misura minore correntisti di una banca possono essere chiamati a concorrere al suo salvataggio e alle perdite che ciò comporta.
Tuttavia, anche a causa di come è strutturato il debito bancario italiano, non è semplice far passare il messaggio che lo stato non può prendersi carico di debiti ed errori del settore privato. Spesso infatti tale debito è stato “trasferito” in maniera non del tutto trasparente sotto forma d´investimento a piccoli risparmiatori non pienamente informati, creando così situazioni politicamente molto sensibili.
Questo porta a trovare situazioni spesso creative che evidenziano la mancanza di trasparenza e “governance” nel sistema bancario italiano e che non permettono di escludere a priori che saranno i contribuenti a pagare il conto finale di scelte fatte da banche private.
Il tutto mentre si avvicina la data in cui entrerà in vigore la direttiva europea sul salvataggio e la liquidazione bancaria (BRRD), che sancisce definitivamente il principio che a rischi privati corrispondono perdite private rendendo impossibili in futuro ulteriori acrobazie, ma che allo stesso tempo include i correntisti con depositi superiori ai 100.000 € (in terza istanza dopo azionisti e titolari di obbligazioni) tra coloro che saranno compartecipi del rischio nel caso di una crisi bancaria.
Immagine CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons
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